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"Libera ha interessi economici", replica: lo denuncio. Polemica tra pm e don Ciotti

Il presidente dell'associazione Libera don Luigi Ciotti

PALERMO. Mentre è alta l'attenzione sul mondo dell'antimafia, anche in seguito all'inchiesta che ha scosso il tribunale di Palermo con il «caso Saguto» e proprio nel giorno dell'audizione in Commissione parlamentare antimafia del fondatore di Libera, don Luigi Ciotti, arrivano pesanti le parole del pm napoletano antimafia Catello Maresca che critica l'organizzazione fondata dal sacerdote.

«Se un'associazione, come Libera, diventa troppo grande, se acquisisce interessi che sono anche di natura economica e il denaro spesso contribuisce a inquinare l'iniziale intento positivo, ci si possono inserire persone senza scrupoli che approfittando del suo nome per fare i propri interessi», osserva il magistrato. «Libera ha svolto e svolge un ruolo fondamentale nella lotta alle mafie - dice il pm all'ANSA - affiancandosi alle istituzioni dello Stato, ha contribuito a creare la consapevolezza e la convinzione che si potevano sconfiggere». Però, «bisogna constatare che, purtroppo, con il tempo, a questo spirito iniziale esclusivamente volontaristico si sia affiancata un'altra componente, che potremmo definire pseudo imprenditoriale. Questo ha comportato, in alcune zone del Paese, come la Sicilia, che persone lontane dai valori iniziali abbiamo potuto approfittare della fama di Libera per cercare di curare i loro interessi».  Le parole del magistrato, ribadite anche in una intervista  che sarà pubblicata interamente domani sul settimanale Panorama, hanno fatto saltare sulla sedia don Ciotti.

«Noi questo signore lo denunciamo domani mattina, abbiamo deciso di farlo. Uno tace una volta, due volte, tre volte, ma poi si pensa che siamo nel torto. Il fango fa il gioco dei mafiosi», ha tuona don Ciotti, davanti alla Commissione presieduta da Rosy Bindi. «Le dichiarazioni di questo magistrato sono sconcertanti, chiedo che ci sia verità e giustizia in questo Paese», prosegue don Ciotti, il quale ricorda che «per la gestione dei beni confiscati Libera non riceve contributi pubblici, le associazioni ricevono in gestione i beni, Libera non riceve alcun bene. Libera promuove, agisce soprattutto sulla formazione. Sono pochissimi i beni assegnati a Libera, che gestisce solo 6 strutture, di cui una a Roma e una a Catania, su 1600 associazioni che la compongono. È in atto una semplificazione per demolire il percorso di Libera con la menzogna». Il fondatore di Libera ammette tuttavia che «il tema dell'infiltrazione è reale: le nostre rogne sono iniziate con i 17 processi in cui siamo parte civile, lì ci sono situazioni complesse. Altri problemi vengono dalle cooperative: abbiamo scoperto che alcune situazioni erano mutate, siamo dovuti intervenire. Qualche tentativo di infiltrazione c'è ed è trasversale a molte realtà italiane. Il consorzio Libero Mediterraneo ha allontanato realtà che non avevano più i requisiti e queste gettano il fango».

«Le trappole dell'antimafia sono davanti ai nostri occhi, mai come oggi. Si deve eliminare anche questa parola Antimafia, che è un fatto di coscienza», conclude Ciotti, che respinge anche le accuse di non aver tenuto gli occhi aperti su Roma: «ricordo che nel 2011, alla riapertura del Caffè de Paris, sequestrato a clan calabresi, Libera lanciò l'allarme sulle infiltrazioni mafiose nell'economia della Capitale e prima dello scoppiare dell'inchiesta su Mafia Capitale, a Corviale, denunciammo ancora questa presenza».  Solidarietà è arrivata da Bindi che ha giudicato le parole del magistrato «gratuite e infondate», dal vicepresidente della Commissione Claudio Fava (Si), che ha parlato di «affermazioni calunniose e ingenerose», dal capogruppo del Pd Franco Mirabelli, che ha sottolineato tuttavia come «serva oggi un ripensamento dell'antimafia» e del Pd Davide Mattiello, che ha espresso «sconcerto per le parole del pm, salvo smentite e chiarimenti».

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