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Migranti, il racket dei trafficanti. Tre scafisti arrestati: siamo business man

Tre extracomunitari sono stati arrestati dalla polizia e un quarto è ricercato

PALERMO. Tre extracomunitari sono stati arrestati dalla polizia e un quarto viene attivamente ricercato nell'ambito di un'operazione, coordinata dalla Procura distrettuale antimafia di Palermo, nei confronti di un'organizzazione che avrebbe gestito le traversate di migranti dalle coste libiche verso la Sicilia.

Le accuse nei loro confronti sono di associazione a delinquere finalizzata al favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, aggravata dalla transnazionalità.  Tra gli arrestati figura anche l'organizzatore di uno dei viaggi della speranza tra la Libia e Lampedusa, conclusosi con un tragico naufragio che costò la vita a circa 300 migranti.

In quell'occasione i soccorritori riuscirono a recuperare solo 29 corpi. Le indagini, condotte dalle squadre mobili di Palermo e Agrigento, in collaborazione con la Capitaneria di Porto, hanno consentito di individuare i responsabili del racket. Questo, dietro il pagamento di 2.400 dollari ciascuno, prometteva ai migranti il trasferimento fino in Nord Europa.

Gli arrestati sono accusati anche di avere favorito la fuga di numerosi profughi dai centri di accoglienza, garantendo loro il necessario supporto logistico per raggiungere clandestinamente i Paesi dove intendevano presentare richiesta di asilo.

LE INTERCETTAZIONI. «Nessuno sale sui gommoni se non abbiamo i nostri dinari. Noi siamo dei business man». Così si vantavano al telefono i trafficanti che facevano parte del racket che avrebbe gestito la tratta di migranti tra le coste libiche e la Sicilia. Le indagini coordinate dal procuratore aggiunto di Palermo Maurizio Scalia e dai sostituti Geri Ferrara, Alessia Sinatra e Claudio Camilleri sono partite dall'analisi dei numeri trovati dentro un telefonino satellitare rimasto su un gommone.

Tre persone sono state fermate dalla polizia; una quarta risulta latitante. Altri dieci indagati, fra cui i capi dell'organizzazione, sarebbero ancora in Libia. I trafficanti sono accusati anche del naufragio avvenuto il 9 febbraio scorso al largo delle coste libiche che costò la vita a circa 300 migranti.

LE INDAGINI. E' seguendo il filo delle intercettazioni che la Procura di Palermo è riuscita a individuare i capi di una delle organizzazioni di trafficanti di uomini, con sede in Libia, che gestisce i viaggi della speranza dei migranti.   L'indagine, che oggi ha portato a tre fermi - una quarta persona è ricercata - nasce dall'intercettazione di un telefono satellitare che, a febbraio scorso, lasciò un sos nel Canale di Sicilia. Dalle conversazioni di quel telefono e dagli interrogatori dei migranti che viaggiavano su quattro barconi - uno sarebbe affondato - i pm, coordinati dall'aggiunto Maurizio Scalia, sono risalita al capo dell'organizzazione, un cittadino del Mali e al suo vice: entrambi sono liberi e vivono in Libia, mentre sono stati fermati i tre contatti in Italia della banda che curavano la logistica del dopo sbarco.

L'inchiesta ha evidenziato che gli extracomunitari in viaggio pagavano l'organizzazione due volte: una per l'attraversamento del deserto, l'altra per il viaggio in mare dalla Libia. I migranti venivano tenuti prigionieri in una località vicino Tripoli, Garabulli, e potevano prendere il mare solo se avevano pagato la loro quota. Con loro sui gommoni saliva un sommozzatore dell'organizzatore, che indicava la direzione da prendere e poi a nuoto tornava sulla terra ferma.

Drammatici i racconti dei migranti che hanno parlato di compagni di viaggio sotto effetto di stupefacenti che si buttavano in mare e di una aggressione ai cristiani a bordo da parte dei musulmani.  Dall'indagine è emerso anche che uno dei capi della banda aveva intenzione di investire il denaro guadagnato - centinaia di migliaia di euro - aprendo una concessionaria di auto.

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