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L'evasione fiscale brucia 122 miliardi e circa 335 mila nuovi posti di lavoro

Signori, qua bisogna che tutti paghino le tasse; ovviamente quelli che le tasse non le pagano ancora, perché invece il «buon contribuente» italiano viene addirittura tartassato. Cominciamo dalle conclusioni a cui perviene lo Scenario Economico, tracciato annualmente dal Centro Studi Confindustria, perché l’attenzione che gli industriali pongono, quest’anno più che mai, sull’evasione fiscale e sugli effetti deleteri che ad essa si accompagnano, ha il sapore dell’ultima spiaggia. Il Paese vive un’evidente difficoltà a riprendere la via della crescita, per motivazioni che la stessa Confindustria non esita a definire un “vero rebus”. I livelli pre-crisi rimangono lontani. Il PIL complessivo resta fermo ai livelli raggiunti nel 2003, mentre il PIL pro-capite si ferma addirittura al 1997.
Servono quindi soldi per investire, ma questi soldi non ci sono; non resta quindi che una strada: fare pagare tutti coloro che girano la testa dall’altro lato quando il fisco chiama. In alternativa possiamo continuare a galleggiare nella crescita zero o rimettere mano ad un’ulteriore stretta fiscale; ma è evidente, anche a chi non bazzica gli uffici studi, che nessuna di queste due opzioni è realisticamente percorribile in un Paese così provato come il nostro. Ecco perché i contenuti ed i toni della “ricetta” confindustriale a noi sembrano ultimativi: guerra all’evasione! Ma vediamo intanto i numeri. I tecnici confindustriali ritengono che nell’ultimo scorcio di anno possa esserci una ripresa di slancio e fondano la loro previsione sul livello degli ordini arrivati alle imprese che producono beni di consumo, ed ancora oggi non quantificabili. Tra il 2015 ed il prossimo biennio «saranno creati 650 mila posti di lavoro, che portano a 815 mila il totale da quando sono ricominciati ad aumentare, nel 2014». Ma la ripartenza è comunque lenta. Non basta neanche la caduta del prezzo del petrolio e dei tassi di interesse. In soldoni, l’Italia risparmia 21 miliardi quest’anno e 24 il prossimo sulla bolletta petrolifera. Grazie ai bassi tassi di interesse, imprese e famiglie pagano meno oneri finanziari, per 5 miliardi nel 2015 e 10 miliardi nel 2016. Insomma 60 miliardi di minori costi un due anni, eppure il motore continua a girare al minimo.
Perché di tutto questo si è visto poco? Molte le ragioni: la crisi ha reso più prudenti famiglie e imprese; il credito rimane molto selettivo; le costruzioni restano al palo; siamo sempre poco competitivi sul mercato mondiale. E poi la decrescita demografica ci sottrae forze giovani e concorre all’invecchiamento della popolazione.
La recessione nelle costruzioni, ad esempio, continua senza sosta; prendendo a riferimento i livelli produttivi dell’edilizia a cinque anni data (2010=100), nel 2008 l’indicatore era pari a 115, mentre nel 2015 è precipitato a 65. Con quali effetti è facile constatare, specie in una regione come la Sicilia che, tra costruzioni regolari ed abusivismo diffuso, ha ricavato enormi vantaggi. Nello scenario confindustriale si alternano prospetive positive, che potrebbero manifestarsi con ritardo, ma anche situazioni di rischio incombenti, legate all’ulteriore rallentamento dei Paesi emergenti, alle conseguenze degli attacchi terroristici e all’evoluzione della guerra in Siria.
Che fare allora? Mettere altra benzina nel motore della ripresa sarebbe la soluzione ideale, ma i quattrini per investire non ci sono. E, come nel gioco dell’oca, torniamo al punto di partenza. In un Paese fiscalmente spremuto fino all’osso, almeno tra i lavoratori dipendenti ed i pensionati, nuove risorse finanziarie possono arrivare soltanto dalla lotta senza quartiere a chi evade le imposte.
«L’evasione fiscale e contributiva è un grave ostacolo allo sviluppo economico e civile; distorce la concorrenza, viola il patto sociale, peggiora il rapporto tra cittadini e Stato e riduce la solidarietà». Ma aggiungiamo - utilizzando le stime confindustriali - che l’evasione penalizza gravemente anche il mercato del lavoro. Se tutti pagassero, il PIL italiano farebbe infatti un salto in avanti del 3,1% ed arriverebbero 335 mila nuovi posti di lavoro.
Oggi però mancano all’appello 40 miliardi di IVA, 34 miliardi di contributi lavorativi, 23 miliardi di Irpef e 25 miliardi di altre imposte. In tutto mancano 122 miliardi di euro; se consideriamo che l’intero Servizio Sanitario Nazionale costa 103 miliardi, possiamo avere un’idea più precisa di che cosa ci sia in ballo. L’analisi confindustriale dice che il sommerso è ampio nei servizi (32% del valore aggiunto), nel commercio, trasporti, alloggio e ristorazione (26%), nelle costruzioni (22%) e nelle attività professionali (20%). È, invece, contenuto nelle attività finanziarie e assicurative (3%) e nella manifattura (6%). L’enorme dimensione dell’evasione in Italia risulta evidente anche nel confronto internazionale. Dalla differenza tra l’IVA dovuta e l’IVA pagata, emerge che l’intensità dell’evasione in Italia è analoga a quella della Grecia, doppia di quella della Spagna, tripla di quella tedesca e francese. Quali sono le cause dell’evasione? Ce ne sono molte: l’inefficienza dei servizi pubblici; la radicata convinzione che molti evadano; l’elevata illegalità economica (corruzione); i controlli inadeguati (per il 99% dei contribuenti un controllo ogni 33-50 anni); la frammentazione produttiva; le alte aliquote e l’onerosità degli adempimenti.
La crisi ha però aumentato il consenso dell’opinione pubblica al contrasto dell’evasione; il che non è poco in un Paese che ha sempre considerato l’evasione quasi una necessità da giustificare. Secondo i sondaggi IPSOS, infatti, il 60% degli italiani lo apprezza e quasi il 50% lo ritiene prioritario. È il clima ideale per mettere in moto la riscrittura delle regole fiscali varata dal governo Renzi alcuni mesi fa. «Macelleria sociale è una espressione rozza ma efficace, ed io credo che gli evasori fiscali siano tra i responsabili»; detto da Mario Draghi fa un certo effetto. Così come fa un certo effetto la dichiarazione di Giorgio Squinzi di Confindustria quando sottolinea che: «Da imprenditore, il peggior concorrente che ho è chi non paga le tasse o evita in tutti i modi di farlo».

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