Questo sito contribuisce all’audience di Quotidiano Nazionale

Quercia: «Il virus jihadista infesta l'Europa, già rientrati in mille dal Califfato»

PALERMO. «Dopo Parigi e Bruxelles è ormai evidente all'opinione pubblica che esiste una minaccia interna. Il fenomeno andava fermato nel 2012 o nel 2013. Ora abbiamo almeno 5 mila jihadisti europei, un migliaio sono già rientrati». Paolo Quercia, direttore del centro di analisi strategiche Cenass, avverte che i Paesi europei sono ormai impegnati su due fronti. Da un lato, il Medioriente infestato dall' Isis. Dall'altro, le nostre stesse città: «Siamo il continente con più alta propensione allo jihadismo», ha scritto Quercia in un recente rapporto sui «Foreign Fighters» curato per il Centro Alti Studi del Ministero della Difesa. «In Europa - spiega - si radicalizzano 200 fanatici pro -Isis per milione di abitanti di fede musulmana. E la sola città di Goteborg in Svezia ha prodotto quasi la metà dei "combattenti", cinquanta, di quanto fatto dal Sudan. Insomma, la via per il Califfato passa più per il "welfare state" nordeuropeo che attraverso le periferie urbane dei Paesi islamici!».

I «reduci» dello Stato Islamico, ovvero il nemico tra noi. Quali sono i dati?
«Lei sa qual è la nazione al mondo che ha il maggior numero di combattenti stranieri in Siria in proporzione alla grandezza della propria comunità musulmana sunnita? La Finlandia. Settanta foreign fighter su una popolazione di 40 mila islamici. Il secondo, l' Australia. Il terzo la Danimarca. A seguire la Svezia, appunto, il Belgio e l' Austria. E ancora: la media in terra balcanica è 102 per milione, mentre è di 24 nei Paesi musulmani. Quella europea è ben dieci volte superiore».

In ambito comunitario si torna a parlare di schedatura dei passeggeri aerei e monitoraggio delle chat, Playstation compresa. Servirà?
«Solo parzialmente, in quanto parlare e viaggiare non potranno mai costituire reati perseguibili penalmente con il carcere, almeno fin quando si vorrà mantenere democratica e liberale l' Unione Europea.
Pensiamo davvero di poter mettere sotto libertà vigilata 20 milioni di mussulmani europei? A parte questo, non è davvero il cuore del problema come non lo sono le espulsioni. I Paesi europei hanno prima fallito nelle proprie politiche migratorie, con l' ambizioso progetto di creare una società multiculturale.
Poi, hanno fallito nei programmi di integrazione e di de-radicalizzazione. Quindi, hanno contributo alla escalation della guerra civile siriana e al tempo stesso non sono stati in grado di prevenire il fenomeno dei foreign fighter. Intanto, abbiamo lasciato sguarnite le nostre frontiere comuni. E adesso ci accorgiamo che non siamo in grado di avere un ruolo determinante nel conflitto siriano».

Cioè?
«L' esito della guerra lo decideranno turchi, russi, sauditi, qatarini, iraniani, americani, curdi. Noi, no. In maniera non diversa da come non lo fummo 20 anni fa nel caso della Jugoslavia. In questi venti anni siamo divenuti un soggetto passivo della Storia, perché abbiamo voluto disgregare le sovranità nazionali senza volerne costruire una europea. Ed oggi ci troviamo a rispon dere alle falle dell' instabilità attorno a noi con le toppe della riduzione degli spazi interni di libertà che avevamo costruito».

Turchia e Russia ai ferri corti, Europa divisa sulla guerra anti-Isis. Già fallita l'ipotesi di una grande coalizione, sollecitata dal presidente francese Hollande dopo la strage del 13 novembre?

«Attentati di Parigi a parte, è troppo presto per una grande coalizione anti-Isis. Come si fa a creare un'ampia coalizione quando non ci si è ancora accordati neppure su quali gruppi sono opposizione legittima e quali terroristi. Oppure, di cosa fare del territorio del califfo dopo una sua sconfitta. O quale sarà il destino di Aleppo, la più grande cittadella Siria, e quale forma di autonomia dare ai curdi? Sono accordi complessi, ancora più difficili dopo l' abbattimento dell' aereo russo».

Da Parigi, intanto, il mini stro degli Esteri Valls ha aperto le porte a una collaborazione con il «carissimo nemico» Bashar al -Assad. Impossibile sconfiggere lo Stato Islamico senza intesa con la Siria?
«L' Isis, almeno nella sua componente territoriale siriana, è una forza militare che può essere facilmente sconfitta da una minima coalizione internazionale a supporto di forze locali, siano esse quelle del governo ufficiale di Damasco, o quelle insurrezionali del Fsa e delle milizie curde. Ciò non accade per il problema del "cui prodest", ossia del chi beneficerà della sconfitta dell' Isis.
Per molti, questo non è il nemico strategico di lungo periodo. Anche Assad, d' altronde, ha un rapporto ambiguo con il Califfato almeno quanto la Turchia. Non ci sono alleati stabili nel conflitto siriano».

Tutto sembra sconfessare la strategia tenuta sinora da Obama. O no?
«Direi che è una strategia funzionale agli interessi statunitensi di disimpegno regionale, ma che lascia gli europei nei guai!».

Anche la Germania ha deciso di impegnare propri velivoli nei raid. I Tornado italiani, invece, sono disponibili soltanto per missioni di ricognizione. Il nostro Paese rischia così di restare isolato?
«Difficile capire cosa ci sia dietro al coinvolgimento tedesco per una decisione così poco in linea con il suo tradizionale antimilitarismo. L' asse franco -tedesco sicuramente ha avuto il suo peso. Per noi, comunque, lo starne sostanzialmente fuori è una scelta saggia. La Siria è una trappola per l' Occidente. Possiamo assicurare maggiore aiuto controllando il confine del Mediterraneo centrale, o impedendo ai foreign fighter di raggiungere la Siria».

Caricamento commenti

Commenta la notizia