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D'Antoni: arrestare gli estortori non basta. Lo Stato sostenga chi dice no al racket

PALERMO. Arrestare chi impone il pizzo va bene nel breve periodo, esprime la forza dello Stato contro la «criminalità organizzata, ma poi le istituzioni devono anche garantire agli imprenditori e commercianti che denunciano gli estortori quelle condizioni di mercato all' insegna del merito e della trasparenza che gli consentano di lavorare con profitto senza dovere ricorrere a torbide scorciatoie per portare avanti le loro attività». Valerio D' Antoni, avvocato e tra i fondatori dell' associazione Addiopizzo, ospite ieri negli studi di Tgs durante l' edizione delle 13,50 del telegiornale, oltre al plauso per l' azione di repressione di magistrati e forze dell' ordine nel contrasto al sopruso mafioso che soffoca il libero mercato, punta l' attenzione anche sull'opera di sensibilizzazione e assistenza messa in atto dalle associazioni che operano giornalmente sul territorio, negozio dopo negozio, azienda dopo azienda, e che negli ultimi anni ha fatto aumentare le denunce di chi è vittima del racket. D' Antoni avverte: «I commercianti e gli imprenditori che si ribellano al pizzo, una volta spenti i riflettori mediatici delle grandi inchieste, poi non devono essere lasciati soli. Non dai consumatori, che devono premiare il coraggio acquistando nei loro negozi, nelle loro aziende, ma soprattutto non devono essere abbandonati dalle istituzioni, dalla politica. Devono essere aiutati a reinserirsi in un mercato libero da ogni tipo di condizionamento illecito».
Renzi e Alfano, commentando gli arresti di Bagheria, hanno detto che la collaborazione degli imprenditori è il frutto della piena fiducia nelle istituzioni.
«Sì, ma oltre a un naturale ringraziamento alle forze dell' ordine per l' eccellente lavoro svolto nell' inchiesta di Bagheria, è bene chiarire come la fiducia, le istituzioni, la dovranno guadagnare già a partire da domani. Ora, infatti, occorrerà porre l' attenzione su due obiettivi. Da una parte, bisognerà riuscire a coinvolgere molti altri imprenditori che ancora sono costretti a pagare il pizzo e fargli denunciare gli estorto ri. Devono capire che la denuncia non è più un atto di ribellione pericoloso, ma un normale gesto di civiltà che può essere assunto in totale sicurezza. Dall'altre parte, adesso occorre creare le condizioni perché gli imprenditori bagheresi che per decenni hanno avuto la protezione di Cosa nostra, come tutti quelli che hanno subito lo stesso trattamento, possano ritornare a fare il loro mestiere senza subire pressioni malavitose e aspettative di favori e vantaggi».

Gli arresti degli uomini del pizzo sono sempre più frequenti, così come le denunce di commercianti e imprenditori, in crescita costante negli ultimi anni. Cosa c' da fare ancora per debellare definitivamente questo tipo di racket che opprime lo sviluppo di una sana economia?
«Per superare definitamente il racket non è sufficiente una delega in bianco alle istituzioni. Ognuno deve recitare il proprio ruolo. A cominciare dai cittadini.
Lo Stato, certo, in questo scenario riveste un ruolo fondamentale. A livello normativo e regolamentare, infatti, deve continuare a incoraggiare i comportamenti virtuosi come quelli, per esempio, che lunedì scorso hanno portato agli arresti di Bagheria. Bisogna che le istituzioni continuino, come fanno, a creare un terreno fertile per favorire le denunce, ma soprattutto è necessario che lo Stato favorisca una competizione sana nell' economia. Un' impresa deve avere successo, in sostanza, esclusivamente in ragione della qualità dei prodotti offerti, dei servizi resi. Non in ragione di logiche clientelari tipiche del potere mafioso».

Dopo le denunce spesso è accaduto che gli imprenditori siano rimasti vittime di una sorta di «isolamento professionale». Vengono considerati, paradossalmente, come degli operatori economici a «rischio». Compromessi, in un certo senso. Come è possibile sostenerli per consentire loro un normale reinserimento nel mercato del lavoro?
«Un contributo decisivo deve arrivare dalle banche.
Nell' esperienza maturata da Addiopizzo, abbiamo registrato come gli istituti di credito spesso rendono più difficile l' accesso al credito ai soggetti dichiaratamente vittime di estorsioni perché considerati meno solvibili degli altri, quindi meno capaci di prestare idonee garanzie per restituire il denaro. Spesso accade che, prima di denunciare, un imprenditore vada normalmente in banca e ottenga i finanziamenti per la propria attività. Poi, purtroppo, capita anche che chi si sia ribellato al pizzo abbia avuto molte difficoltà ad ottenere gli stessi mutui e prestiti».

Le banche che come clienti hanno imprenditori e commercianti vittime del racket, secondo lei, andrebbero tutelate dall' intervento dello Stato, della Regione?
«Certo, le istituzioni potrebbero intervenire con provvedimenti mirati per rendere più equo e giusto l' accesso al credito a chi abbia denunciato il pizzo o comunque sia rimasto vittima del sopruso mafioso. Tuttavia, le banche potrebbero valutare i fenomeni di opposizione alle estorsioni non più come un dato di rischio, ma come una caratteristica virtuosa di un operatore economico da incoraggiare in tutti i modi possibili».

In passato pagare il pizzo per lavorare in «tranquillità» era considerato la normalità, adesso comincia a essere vero il contrario. Cosa è cambiato?
«L' enorme attività di sensibilizzazione di Addiopizzo ha attribuito al pagamento del pizzo un significato negativo, sia perché l' imprenditore resta soggiogato al controllo mafioso, sia perché attraverso il pizzo si garantisce la sopravvivenza di Cosa nostra».

Una volta terminato il clamore mediatico delle grandi operazioni di magistrati e forze dell' ordine, poi spetta alle associazioni antiracket incoraggiare il sentimento di ribellione al malaffare. Cosa fate, concretamente?
«Intanto, dopo i processi, facciamo entrare le vittime del racket nel nostro circuito di economia solidale. Invitiamo i cittadini, per esempio, ad acquistare nei negozi o nelle aziende di chi ha denunciato. E poi attiviamo tutti i dispositivi di legge che consentono alle vittime di ottenere tempestivi ristori dopo i danni subiti per le estorsioni: episodi che posso riguardare sia danni diretti all' attività commerciale, nel senso di macchinari e strutture varie, ma anche in termini di mancato guadagno per effetto dell' eventuale isolamento patito dopo le denunce».

L' equivoco che a volte si genera, come più volte precisato da Addiopizzo, è che chi denuncia sia da considerare un eroe. E invece?
«La denuncia non deve essere vista più come un atto eroico, ma come una scelta di normale civiltà che ripudia le logiche dell' arroganza criminale ed esprima la voglia di fare impresa in maniera libera e legale».

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