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"In Sicilia la ripresa non parte. Il rischio povertà tocca il 42%"

PALERMO. Più che un segnale di ottimismo, dal nuovo rapporto Svimez spira per il Sud un filo di speranza. Se fa capolino dalla ridda dei numeri un timidissimo +0,1% nel 2015 contro il +1% del Centro Nord, è pur vero che per il Meridione si tratta della prima «variazione positiva da sette anni a questa parte». Nelle pieghe del documento, si annida però la polvere pesante della crisi che il Sud non riesce a scuotere. In Sicilia sono a rischio povertà oltre 4 persone su 10. E il 72 per cento dei lavoratori non riesce a raggiungere il 40 per cento del reddito medio regionale. Anche chi lavora non riesce a sfamare la famiglia: la Sicilia è il Meridione del Meridione. «Senza investimenti si va incontro alla stagnazione», chiarisce il direttore dello Svimez Riccardo Padovani. «La Sicilia era già prima della crisi la regione più povera di Italia. E senza una svolta nelle politiche industriali, sempre più persone cadranno nel baratro della povertà». L' economia del Sud registra lievi progressi.

Siamo sulla strada della ripresa?
«L' andamento del Pil meridionale è sostanzialmente stabile, a fronte dell' 1 per cento di incremento registrato al Nord. Ma se c' è un segnale da accogliere con favore, dietro questa timidissima crescita dello 0,1 per cento, è la sospensione della serie negativa che il Sud aveva inanellato nei sette anni precedenti. La ripresa migliorerà un po' nel 2016, quando il Centronord registrerà un incremento dell' 1,5 per cento del Pila fronte di un +0,7 per cento al Sud. E un po' di sollievo giunge anche dal recupero dell' occupazione che al Meridione conta 120mila unità in più rispetto allo stesso periodo del 2014. Ma la strada per una vera ripresa, è per il Sud ancora molto lunga. Senza adeguati interventi, resterà la stagnazione»

Quali sono i fattori che ostacolano la svolta?
«A incidere più di tutto è il calo drammatico degli investimenti, che nel 2015 costeranno al Meridione un punto di Pil, a fronte del +1,5 del Nord. È questa la principale ragione che segna il divario con il Settentrione: al Sud gli investimenti pesano molto di più perché hanno un importante effetto moltiplicativo. Se calano, producono al contrario un impatto disastroso. Dev' essere perciò chiaro che senza investimenti, crescita stabile e vera ripresa occupazionale restano obiettivi impossibili da raggiungere. Una risposta di politica economica è imprescindibile».

La Sicilia sembra il Meridione del Meridione: è a rischio di povertà il 42 per cento delle persone, contro il 10 del Nord. Perché nel povero Sud, i siciliani sono i più poveri?
«L’Isola sconta un tasso di povertà endemica maggiore: anche prima della crisi c’erano più poveri che nel resto d’Italia. Insieme alla Calabria, la Sicilia è la regione italiana a minore sviluppo in termini di Pil pro capite. La crisi ha raddoppiato l’incidenza della povertà, perché la vostra è una delle regioni più colpite dalla caduta occupazionale: tra il 2008 e il 2015 hanno perso il lavoro circa 800mila siciliani. A pesare, è stato in particolare il crollo del settore delle costruzioni, quantificabile intorno a un -50 per cento tra il 2008 e il 2014. Nell' Isola era un settore trainante. E ha mandato in crisi anche le attività collegate».

Le decontribuzioni hanno prodotto qualche segnale positivo. Ma le assunzioni restano lontane dalla media nazionale. Che fare?
«Noi dello Svimez abbiamo proposto anche per il 2016 di riconfermarle per una durata di 36 mesi soltanto per il Mezzogiorno. Innanzitutto perché la caduta dell' occupazione è stata molto più rilevante al Sud e in particolare in Sicilia. E in secondo luogo perché l' Isola ha finanziato le decontribuzioni del Nord, con i 3 miliardi e mezzo che sono stati sottratti al Fondo di coesione per il Mezzogiorno. Ben vengano dunque gli sgravi. Ma non devono sostituire gli elementi necessaria quella forte ripresa dell' occupazione che può venire soltanto dalla crescita economica».

Già. Ma come si risolleva l' industria meridionale?
«Il settore industriale del Sud ha registrato dal 2008 a oggi un calo di 18 punti in termini reali. Un tonfo drammatico che ha sterilizzato i vantaggi che avevano le industrie meridionali, dove il costo del lavoro è cresciuto negli ultimi sette anni del 7 per cento rispetto al 15 del Nord. Il Clup, il costo del lavoro per unità di prodotto, è fortemente peggiorato: in termini di competitività il Sud sconta rispetto al Nord un gap di trenta punti. Per incidere su questo divario occorre perciò mettere in campo politiche industriali e forti investimenti. Abbassare il costo del lavoro non basta».

 Quali rischi si corrono altrimenti?
«La verità è che siamo su un crinale: c' è il rischio che il Sud raggiunga un equilibrio al ribasso caratterizzato da un' economia stagnante a scarsa crescita. Ma l' infausto scenario può essere scongiurato grazie a una strategia nazionale di sviluppo che si basi innanzitutto su politiche industriali che latitano da anni, finalizzate ad attivare i cosiddetti driver dello sviluppo. Innanzitutto a partire dalla logistica. I mercati mondiali hanno di nuovo spostato il baricentro sul Mediterraneo e rappresentano per il Sud una grandissima opportunità. E occorre puntare decisamente anche sulle energie rinnovabili, che al Meridione trovano condizioni molto favorevoli e possono rappresentare per il Sud, ma anche per tutto il Paese, un' importante boccata d' ossigeno in fatto di approvvigionamento energetico. E si deve poi investi rein rigenerazione urbana. Gli interventi nelle grandi aree metropolitane, che rappresentano di per sé grandi chance di reddito e nuova occupazione, renderebbero le città meridionali pronte ad attrarre gli investimenti che secondo tutti gli studiosi si concentreranno intorno alle città centrali nei prossimi anni. Non si tratta di costruire ancora ma di valorizzare quello che c' è già: riutilizzare i suoli, fare riqualificazione energetica, ridisegnare i piani di mobilità locale».

Si è molto parlato di bollettini da Dopoguerra, a proposito del Sud. Quale il ruolo dello Stato nel rimuovere le macerie?
«Occorre replicare proprio ciò che è avvenuto nel Dopoguerra, quando la creazione di infrastrutture fece del Sud un elemento fondamentale del miracolo economico del Paese. Bisogna favorire la filiera produttiva dell'agroalimentare e la sua internazionalizzazione grazie alla logistica, in primo luogo. Rigenerare le industrie locali preesistenti, ma attrarre anche i settori del futuro. Logistica, energie verdi e rigenerazione urbana possono diventare un grande volano di crescita. E lo Stato dovrebbe mettere il Sud nella condizione di attrarre investimenti. Non pensiamo tuttavia a uno Stato imprenditore, ma a uno Stato stimolatore, capace di governare i mercati e aprire la porta a quelli del futuro, proprio come succede in Germania».

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