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Dario Argento, a 75 anni una nuova serie tv - Foto

ROMA. Dallo specchio di Profondo rosso alle streghe di Suspiria, fino agli aghi che tengono spalancati gli occhi in Opera. Suoi eredi nel genere horror? «Non vedo francamente tutti questi maghi nel cinema italiano». In questo momento Dario Argento è più affascinato dalla tv: «Credo che dia più sbocchi e libertà di espressione, sto lavorando a una serie dal titolo 'Suspiria de profundis' tratto dal libro Thomas de Quincey, del 1830, a cui mi ispirai per alcune storie del mio film del 1997, ma è tutta un'altra storia rispetto a quella pellicola, ambientata a Londra nel 1840», racconta il regista che taglia il traguardo dei 75 anni.

Resta il re indiscusso della paura, forse il regista vivente italiano più apprezzato, non solo nel nostro Paese ma un po' in tutto il mondo (Francia, Giappone e Stati Uniti in particolare), accostato ad Alfred Hitchcock per le tante affinità che lo legano al grande cineasta inglese. Stamane è stato raggiunto dal Trio Medusa, durante il programma «Chiamate Roma Triuno Triuno» in onda su radio Deejay. Alla domanda su cosa ne pensasse della dichiarazione di Luca Guadagnino, che alla Mostra del cinema di Venezia ha annunciato di voler fare il remake del film «Suspiria», il maestro del brivido ha risposto: «Ah... non sapevo che la faceva lui». E poi «Io non credo che un regista sia contento di vedere i propri film come remake, quei film sono stati fatti in un' epoca e con uno spirito differente. Rifarlo che vuol dire, non vuol dire niente. È solo un'operazione commerciale!».

E sì perchè se Sergio Leone fu l'inventore dello spaghetti-western, Argento è stato il rifondatore del thriller italiano. Da Leone ha mutuato l'uso del primissimo piano, la scarsità di dialoghi. Di Hitchcock ha condiviso l'interesse per le psicopatologie che portano al delitto. Mario Bava è stato il suo apripista nel percorso verso l'invenzione del giallo all'italiana. Lunghissima la filmografia di Argento: da «L'uccello dalle piume di cristallo» del 1970, pellicola che grazie ad un passaparola incassò più di un miliardo di vecchie lire, riuscendo ad imporre il giovane regista all'attenzione di critica e pubblico.  C'era soprattutto il quel primo film un terrorizzare gli spettatori attraverso espedienti inconsueti per quel genere: i fotogrammi subliminali che erano la chiave di volta del film, certi rumori stridenti, l'assassino in impermeabile e guanti di pelle che brandiva il coltello mentre la macchina da presa anzichè abbassarsi nel mulinello di acqua sporca di sangue indulge su particolari raccapriccianti.

Argento aveva trovato un nuovo linguaggio per spaventare: cosa che del resto continuò a fare nei suoi film seguenti, quelli che per la critica appartengono alla cosiddetta trilogia degli animali: «Il gatto a nove code» e «Quattro mosche di velluto grigio», dove sperimenta l'uso degli effetti ralenti, a montaggi alternati, sequenze oniriche, straniamento dei protagonisti. Dopo una breve parentesi 'storica' con «Le cinque giornate», che rievocava l'insurrezione milanese del 1848 contro gli austriaci, il regista torna al thriller con «Profondo Rosso» e «Suspiria». Questi due film rappresentano sicuramente il momento più alto e compiuto della carriera artistica ma anche la svolta verso una sempre più marcata deriva horror, un maggiore compiacimento per le scene raccapriccianti, le musiche allucinate, la frenesia omicida, con una tendenza al neogotico.

Saranno queste a caratterizzare i titoli successivi, da «Inferno» a «La sindrome di Standhal», da «Phoenomena» a «Il fantasma dell'opera». «Giallo», di Argento, è stato distribuito direttamente in home-video. Poi il «Dracula 3d», uscito anche negli Usa e in Giappone. Nel 2013 la prima regia operistica, la messa in scena del Macbeth di Giuseppe Verdi.

Padre di Asia, avuta dall'attrice di alcuni suoi film Daria Nicolodi e a sua volta attrice e regista affermata che lo ha reso nonno, Argento è un uomo schivo, innamorato del cinema e della vita. Un artista che imprigionando i demoni nella macchina da presa è riuscito a raccontare gli incubi di tutti noi. A chi vuole sapere se abbia mai avuto terrore di qualcosa basta leggere la sua autobiografia che non poteva che chiamarsi «Paura» (Einaudi). Non temeva il buio come tutti i bambini: «Io avevo paura del corridoio di casa. Era una forma perfetta di terrore: puro, senza condizionamenti».

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