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Punti nascita in Sicilia. Dopo le proteste la Regione chiede deroghe

La chiusura dei reparti con meno di 500 parti l’anno è prevista a dicembre. Da Petralia a Licata la protesta dei sindaci: «Priorità alla salvaguardia della salute»

PALERMO. Senza il reparto di ostetricia a Petralia, raccontano i residenti, per partorire bisognerebbe imboccare la statale 643 e recarsi a Termini o Cefalù. Neve o smottamenti permettendo, dicono, «in condizioni ottimali si impiegherebbe almeno un’ora e mezza». A Licata, invece, nel caso di un’emergenza, il sindaco spiega che le gestanti dovrebbero chiamare un’ambulanza da Canicattì: «Tempo di attesa totale, tre ore». È partendo da questi numeri che sindaci e comitati cittadini di mezza Sicilia sono sul piede di guerra. Le nuove regole del ministero della Salute stabiliscono che gli ospedali che non rispettano certi standard di sicurezza o che hanno meno di 500 parti l’anno debbano chiudere, ma le comunità locali non ci stanno. Nuove speranze arrivano adesso dall’assessore regionale alla Salute, Baldo Gucciardi, che è pronto a riaprire la vertenza: «La competenza esclusiva è del ministero - chiarisce l’ex capogruppo del Pd - ma chiederemo di riaprire il tavolo di trattative sui punti nascita e assicurare altre deroghe».

Il conto alla rovescia è scattato per i reparti degli ospedali di Mussomeli, Bronte, Lipari, Mistretta, Licata, Santo Stefano di Quisquina e per l’ospedale Madonna dell’Alto di Petralia. La chiusura era fissata per la fine dell’anno ma una circolare dell’assessorato ha già invitato i manager a smobilitare i reparti che non garantiscono gli standard minimi di sicurezza e a concludere l’operazione entro settembre.

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