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Servizi pubblici inefficienti nell’Isola, ma tra i più costosi dei comuni italiani

Il Comune di Palermo riduce la Tari, l'imposta sui rifiuti. Una buona notizia. Ma a volere tentare una graduatoria delle tasse meno amate, nulla risulta più odioso del pagamento di un servizio pubblico che non viene reso o viene reso malamente.

È questo il nodo principale della questione. La qualità dei servizi pubblici a Palermo, e spesso in Sicilia, si colloca ben al di sotto della media nazionale, mentre i costi per i contribuenti lievitano ben al di sopra della media nazionale. Spesso si spende moltissimo per alcuni servizi e pochissimo per altri. Non è quindi per il gusto dei facili slogan che possiamo parlare di servizi pubblici e disservizi privati. È una questione comune a quasi tutto il Mezzogiorno, ma non per questo più consolatoria per il contribuente siciliano.

Il Sole 24 Ore ha fotografato lo stato dell'arte della tassa sui rifiuti in Italia. Soltanto tre comuni siciliani hanno fornito i dati: Ragusa fa pagare, ad una famiglia di tre persone in un appartamento da 100 metri quadrati, 392 euro all'anno; Palermo chiede 327 euro, mentre Caltanissetta si ferma a 288 euro. Tutti e tre i comuni siciliani vanno oltre la media nazionale, che è di 287 euro. Ma certo colpisce che il confronto tra due comuni come Palermo ed Udine, agli estremi opposti in tutti i sensi, vedano il capoluogo siciliano richiedere ai propri cittadini una tassa per i rifiuti più che doppia rispetto a quella del capoluogo friulano (161 euro), con l'aggravante che negli ultimi quattro anni Udine ha visto diminuire la Tari dell'8,5% mentre il contribuente palermitano l'ha visto crescere del 50%. Sul livello poi della pulizia tra le due città, è meglio stendere un velo pietoso.

Con l'introduzione della Tari è stato confermato il principio che il costo del servizio in capo all'azienda che raccoglie i rifiuti dev'essere interamente coperto dagli utenti, attraverso il pagamento della tassa. Più l'azienda è inefficiente, più l'azienda è gravata da troppo personale, più l'utente finale paga. Il problema è tutto qui.

Gli altri sei comuni capoluogo della Sicilia non hanno fornito i dati perché, a differenza degli altri comuni italiani, hanno fino al 30 settembre per approvare il bilancio di previsione 2015 (sic!) e quindi agire sulle tariffe. Il Sole 24 Ore critica in maniera caustica «questa proroga selettiva» che secondo il quotidiano confindustriale «dipende dal caos normativo prodotto dall'Assemblea Regionale Siciliana sull'avvio nell'Isola della riforma della contabilità pubblica». Un'altra perla nella lunga collana delle nostre specialità.

Ma i servizi pubblici oltre a renderli con standard adeguati, bisogna farli pagare. Stiamo parlando di tutti i proventi che i Comuni incassano per quei servizi per i quali i cittadini pagano una tariffa; è il caso dei biglietti per il trasporto urbano, le mense scolastiche, le piscine, altri impianti sportivi, gli asili nido, i servizi sociali di assistenza.

Nel 2012 le 15 città più popolose d'Italia hanno incassato 123 euro per ogni cittadino grazie a questi servizi. Lo rileva il sito Openpolis del Forum PA.

Nella graduatoria nazionale, gli ultimi quattro posti sono occupati da Palermo, Bari, Messina e Catania; il capoluogo dell'Isola ha incassato appena 53 euro pro capite, mentre Messina e Catania si fermano a 38 euro a testa. Città come Verona e Firenze incassano tra 289 e 226 euro, senza scomodare Milano che arriva a ricavare dalla vendita dei servizi 418 euro a testa. La spiegazione? Pochi servizi a tariffa e «difficoltà» ad incassare il corrispettivo per tutte le prestazioni fornite.

A proposito degli effetti sul territorio delle politiche comunali, un'altra stranezza è quella delle spese comunali per l'urbanistica ed il governo del territorio; in particolare ci si riferisce ai costi degli uffici preposti.

Ebbene la spesa media in Italia (sempre nel 2012 e sempre nelle 15 città più popolose) è di 32 euro per abitante; questa soglia però nel caso di Palermo si sposta a 78 euro a testa, ponendo la città al secondo posto in Italia, quando persino una città come Roma si ferma a 43 euro pro capite. A dire il vero si fa fatica a reperire nell'ordine urbanistico palermitano gli effetti della maggiore spesa.

Le analisi del sito Openpolis fanno emergere tante altre situazioni deficitarie o comunque di grande ritardo dei comuni siciliani. Per la scuola materna ad esempio, la spesa media italiana è di 45 euro a testa; questo dato precipita, però, a 9 euro a Palermo ed a 4 euro a Catania e Messina. Ed ancora, per biblioteche e musei si spendono nella media italiana 25 euro pro capite che declinano però a 5 euro a testa a Catania, 4 euro a Palermo e adddirittura a 63 centesimi pro capite a Messina.

Non meno curioso risulta poi il dato sull'illuminazione pubblica (riferita soltanto agli impianti ed al personale); qui Palermo, con un inatteso colpo di reni, scatta al primo posto con 40 euro di spesa pro capite rispetto alla media nazionale di 24 euro, quando Roma ne spende 26 e Napoli appena 12. In realtà si fa fatica ad apprezzare questi livelli di spesa nell'illuminazione delle strade palermitane.

In compenso gli incassi da multe vedono Palermo e Messina al penultimo ed all'ultimo posto tra le grandi città italiane, con un introito, rispettivamente, di 25 e 20 euro; la media italiana è di 46 euro. Firenze e Milano superano i 98 euro pro capite. Che ci siano pochi Vigili urbani nelle strade palermitane e messinesi?

Andando avanti nelle altre voci di spesa i numeri sono bene o male sempre gli stessi; Palermo e gli altri comuni siciliani sono quasi sempre in fondo alla classifica. Anche questo è Mezzogiorno. Anche questo è ritardo.

Come scriveva Luca Ricolfi sul Sole 24 Ore di domenica 9 agosto, «la politica nazionale ha le sue grandi responsabilità, prima tra tutte quella di non avere dotato il Sud di una rete infrastrutturale decente, ma nessuna analisi della questione meridionale è credibile se dimentica le gravissime responsabilità delle classi dirigenti locali o sorvola sull'eccessiva tolleranza, assuefazione e talora persino connivenza, che le genti del Sud hanno nei confronti delle proprie classi dirigenti». Anche questo è Mezzogiorno.

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