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Ancora tensioni sul fronte riforme: Renzi stoppa la modifica dell'Italicum

Sono molto netti i dirigenti del Pd, di fronte all'avanzare di ipotesi di aperture alla richiesta di Forza Italia di trasformare il premio alla lista dell'Italicum in un premio alla coalizione. Il dialogo con FI, così come con la minoranza Dem, resta aperto

ROMA. L'Italicum non è in discussione. Sul tavolo delle riforme c'è al momento una sola proposta di mediazione: l'introduzione di un listino alle regionali per selezionare i futuri senatori. Punto. Sono molto netti i dirigenti del Pd, di fronte all'avanzare di ipotesi di aperture alla richiesta di Forza Italia di trasformare il premio alla lista dell'Italicum in un premio alla coalizione. Il dialogo con FI, così come con la minoranza Dem, resta aperto. Dalle file della maggioranza del Pd più d'uno sostiene che rimettere mano alla legge elettorale non sarebbe in assoluto un tabù. Ma per ora Matteo Renzi va avanti sulla via tracciata: se non c'è intesa, si voterà in Aula e si vedrà chi ha i numeri. A metà mattinata di ieri da palazzo Chigi giunge una smentita netta a "retroscena e ricostruzioni" su un'ipotetica apertura del premier a modifiche all'Italicum: "Sono destituiti di ogni fondamento". Renzi, in vacanza con la famiglia fino al 18, quando riceverà Angela Merkel all'Expo, non entra nella mischia del dibattito ferragostano.

Ma dai vertici del Pd mettono in chiaro che "non si può stare sotto il ricatto" della convergenza tra FI e minoranza Pd sulle riforme. Dunque, il messaggio che viene fatto filtrare chiude, almeno per il momento, ogni varco sulla legge elettorale: "Non si tocca - dice un dirigente Dem - Quello che accadrà tra due anni non lo so, ma posso dire che se tra due mesi ci fosse un'impasse totale al Senato sul ddl costituzionale, sarebbe più probabile il voto anticipato, piuttosto che si rimetta mano alla legge elettorale". Quando il Parlamento riaprirà a settembre e il confronto sulle riforme entrerà nel vivo, scommettono i renziani, ci sarà margine per smussare le posizioni. E si vedrà al momento del voto in Aula chi ha la maggioranza. C'è però preoccupazione per due fattori non controllabili dal Pd o dal governo. Da un lato il giudizio che il presidente Pietro Grasso dovrà dare sulla possibilità di emendare l'articolo 2 del ddl Boschi, che riguarda composizione e elezione del Senato. Dall'altro lato, l'ostruzionismo guidato da Roberto Calderoli con i suoi 500mila emendamenti: una mole in grado di "falcidiare" la riforma. Proprio su queste leve fanno perno i partiti che la riforma vogliono cambiarla. Matteo Salvini avverte il premier: "O si siede a un tavolo sulle riforme anche con noi sporchi, brutti e cattivi della Lega, o lo seppelliamo di emendamenti".

Meno bellicosa, anche FI tiene il punto: "Non vogliamo né Nazareni Bis né governissimi, ma se il governo vuole riforme largamente condivise ne metta in discussione l'impianto autarchico". La modifica dell'art. 2 del testo con l'introduzione diretta dei senatori e l'introduzione del premio alla coalizione: sono le due richieste che il capogruppo Paolo Romani non si stanca di ripetere. Anche se prova a rassicurare Renzi che gli azzurri non lo scavalcheranno con accordi sottobanco con la minoranza Pd. Del resto, è al premier che spetta di "fare la prima mossa". La convergenza tra azzurri e sinistra, concordano i Dem, è nelle cose e "alla luce del sole". Entrambi chiedono il Senato elettivo. Mentre sull'Italicum la minoranza Pd chiede la possibilità di apparentamento al secondo turno. Una possibilità che anche alcuni renziani non vedono con sfavore, soprattutto nella ipotesi di un futuro ballottaggio Pd-Grillo, e di cui si potrebbe tornare a parlare in futuro. Per ora, lamenta il senatore della minoranza Federico Fornaro, l'unico dato a verbale è che i renziani "aprono a FI e non rispondono" ai 28 'dissidenti' Pd. "Qui stiamo truccando, in modo duraturo, le regole del gioco", è l'allarme di Corradino Mineo, che paragona Renzi a un "dictator" dell'antica Roma.

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