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Al volante distratti dal cellulare, Giuseppa Cassaniti Mastrojeni: «Così si causa il 20% degli incidenti»

PALERMO. È stata definita tecnodistrazione ed è un fenomeno in crescita. Causa incidenti stradali, spesso anche con vittime. Parliamo dell'utilizzo di tablet e telefonini da parte di chi guida. «Un comportamento sempre più diffuso. Basti pensare che quasi il 20 per cento degli incidenti è ormai legato a questa tecnodistrazione».

Lo afferma Giuseppa Cassaniti Mastrojeni, presidente dell’Associazione dei familiari e vittime della strada (Aifvs), che da anni affronta i problemi legati alla sicurezza stradale e alla giustizia. Oggi Cassaniti Mastrojeni segue con attenzione le politiche del governo e del parlamento. E non mancano le preoccupazioni legate ad un possibile taglio dei risarcimenti. Diciotto anni fa, Cassaniti ha perso la figlia a causa di un incidente. La ragazza è stata travolta da un pirata della strada sul marciapiede di casa, a Messina.

Alla guida in stato di ebrezza o sotto effetto di stupefacenti si aggiunge adesso, tra le principali cause d’incidenti mortali, anche l’utilizzo di telefonini. È un fenomeno destinato a crescere?

«Questo è quanto confermano i dati che sono stati raccolti a livello nazionale dall’Istat. L’utilizzo di telefonini o tablet da parte di chi guida è ormai diventata una condotta reiterata e diffusa. Una pratica che provoca circa il venti per cento di incidenti. La distrazione ha un forte peso sull’incidentalità. Questo aspetto era contenuto anche nel nostro contributo inviato al Senato in merito al reato di omicidio stradale. Avevamo sottolineato gli aspetti legati alla distrazione, come condotta di guida da perseguire, e all’uso improprio di questi strumenti tecnologici. Tutti sappiamo che è un’attività pericolosa. Eppure continuiamo ad assistere a incidenti dovuti al loro utilizzo».

È un problema sottovalutato?

«La nostra idea è che non è soltanto la guida in stato di ebrezza o sotto l’effetto di stupefacenti che deve essere perseguita. Ma anche quei comportamenti che si tengono quando si è sobri e non si considerano le regole cautelari. Regole che, è bene precisare, sono fatte a difesa di tutti. Dobbiamo lavorare sulla cultura, cambiare certe convinzioni. Noi abbiamo la libertà, ma senza il senso del limite non è più libertà. Non siamo soli sulla strada. Occorre avere una consapevolezza costante. Quando guidiamo una macchina diventiamo più potenti, più forti, più pericolosi».

Si parla di «omicidio stradale». C'è un iter in corso per l’approvazione. Quali sono al momento le criticità?

«Bisogna partire dalla pena. Una pena che deve essere espiata. Siamo soliti sentire dire: voleva correre, non voleva uccidere. Non si può andare avanti così. Per cambiare le cose occorre dare un segnale: la norma va rispettata. Il giudice deve dire: “Questa persona ha corso e non doveva correre”. E chi ha trasgredito una norma va mandato in carcere. Questa nostra società è caratterizzata dal mancato rispetto delle leggi. E, alle volte, i primi a non rispettare la norma, almeno per come viene valutato l’omicidio colposo da incidente stradale, sono proprio alcuni giudici. Giudici che sembrano sottovalutare la trasgressione. Occorre cambiare la visione della colpa. La norma va osservata e alla sua trasgressione bisogna dare una pena adeguata. L’omicidio colposo non è un omicidio di serie B. Si uccide una persona. È necessario che ci sia un cambiamento culturale ed etico. I diritti umani vanno rispettati».

Che cosa chiedete al governo come associazione?

«Elevare in modo adeguato le pene per il comportamento colposo è il vero cambiamento che sosteniamo: non può essere sottovalutata dalla giustizia la trasgressione delle norme con le sue irreversibili conseguenze. È bene precisare che, in realtà, bastavano modifiche migliorative all’articolo 589 del codice penale. La dizione di “Omicidio stradale” sembra essere stata usata per rispondere a una vecchia logica che tiene conto del clamore mediatico e del consenso. Non è stato approfondito neanche il significato di colpa, frutto di autodeterminazione nella trasgressione delle norme e causa di grave allarme sociale. Smettiamola di dire che il tizio voleva correre ma non voleva uccidere e di continuare a sottovalutare la trasgressione. A noi del tizio interessa quello che ha fatto: ha corso ed ha ucciso. E non poteva né correre né uccidere, perché vietato dalle norme del codice della strada, che sono norme cautelari per la difesa della vita e della salute. La pena non può essere inferiore ai dodici anni».

Ci sono condotte di guida pericolose che avete individuato?

«Abbiamo presentato, come associazione, una proposta sull’omicidio colposo causato da guida azzardata e temeraria. E abbiamo individuato anche delle violazioni nello specifico, come il passaggio col rosso, l’inversione di marcia in corrispondenza o in prossimità di intersezioni, curve e dossi, l’uso di dispositivi elettronici, il sorpasso di un altro mezzo in corrispondenza delle strisce pedonali, la marcia contromano. Il reato di omicidio stradale da semplice ad aggravato deve sussistere nei casi in cui la condotta di guida azzardata, che deve essere accertata tecnicamente, costituisca causa determinante del decesso, configurando la sussistenza della colpa aggravata».

Nei giorni scorsi avete lanciato un allarme sui risarcimenti alle vittime della strada…

«Sì, siamo di fronte ad un’azione del Parlamento che deve essere fermata. I risarcimenti delle vittime della strada sono, infatti, fortemente esposti al rischio di essere abbassati e con valore retroattivo. Gli emendamenti confermano l’abbassamento previsto dal ddl Concorrenza. Come associazione abbiamo chiesto e continuiamo a chiedere con forza che questi atti vengano ritirati e sostituiti da quelli indicati dal Movimento della Carta di Bologna. Si è fatto finora riferimento alle tabelle di Milano, votate nel 2011 dal potere legislativo, confermate dalla Cassazione e condivise dagli organismi di base delle vittime. Occorre che per i risarcimenti si continui a fare riferimento a queste tabelle. Se ciò non dovesse avvenire, siamo pronti insieme alle vittime ad avviare delle azioni di protesta. Il governo non può dimostrarsi di parte e filo assicurativo. Bisogna ricordare a chi ci governa che il suo compito è quello di proteggere il debole contro il potente. Già negli anni passati e con altri governi si era tentato di abbassare questi risarcimenti. E ci siamo sempre opposti».

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