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Bennato: «Corre su internet il fondamentalismo, è il salto di qualità della propaganda»

Il sociologo dell’ateneo di Catania: «Il web s’è affiancato alle moschee Gli estremisti prosperano grazie alle conquiste dei loro nemici»

Conversioni all'Isis ottenute via Skype, Twitter, Facebook. Siamo ormai entrati nell’era, inquietante, del terrorismo 2.0. Per Davide Bennato, docente di Sociologia dei Media digitali all’Università di Catania, i signori dell’orrore hanno ormai compiuto «un salto di qualità con l’uso sistematico dei social media e delle opportunità che essi forniscono di diffondere sistematicamente il messaggio e innovare le strategie di reclutamento». Quindi, la definizione: «Il terrorismo è una forma di conflitto non convenzionale che fa delle strategie di comunicazione il suo punto di forza».
L’inchiesta milanese sulle due famiglie pronte a raggiungere lo Stato Islamico ha rivelato come una «indottrinatrice» di origini canadesi abbia plagiato centinaia di donne tramite Skype. Sorpreso?
«In realtà mi sarei sorpreso del contrario proprio perché il terrorismo moderno usa sistematicamente tutti gli strumenti che una società tecnologica basata sulla comunicazione mette a disposizione, come la libertà di parola e di espressione. Si viene così a creare il paradosso che il terrorismo prospera e si diffonde grazie alle conquiste, sociali e culturali, di quella stessa società liberale che vorrebbe abbattere«.
Internet sembra ormai avere scavalcato le moschee come scuola di radicalizzazione. Segno dei tempi?
«Internet non è stato scavalcato dalle moschee, da alcune moschee è bene ricordarlo, nel processo di rafforzamento del fondamentalismo islamico, bensì si è affiancato ad esse. Sociologicamente parlando, sia la religione che la politica sono processi culturali e, pertanto, si avvalgono di strategie comunicative e mezzi di comunicazione, così come l’uso di internet da parte dei leader religiosi fondamentalisti. Il fondamentalismo islamico è un progetto politico che vuole legittimarsi attraverso discorsi religiosi. È importante non dimenticare questa componente».
Uno studio della «Brooking Association» rivela come siano tra 45 e 50 mila gli account Twitter usati, senza troppi problemi, dagli jihadisti. Eppure i fondamentalisti islamici avevano lanciato messaggi di morte contro il «papà dei cinguettii», Jack Dorsey. Perché?
«Perché Twitter è entrato in maniera molto forte in questa situazione creata dal terrorismo dell'Isis, cancellando diverse centinaia di profili legati più o meno direttamente allo Stato Islamico. Qui si vede in azione il paradosso: serve una società liberale per dar vita a uno strumento come Twitter, ma chi lo usa contro la stessa società liberale che lo ha prodotto ecco che innesca una reazione difensiva. Inoltre, questa è una prova della debolezza del terrorismo: l'uso di strumenti che non controlla».

Sembra proprio che i media occidentali siano i migliori strumenti di propaganda per il «Califfato dell'Orrore». Si può solo stare a guardare?
«I media hanno il dovere deontologico di informare sull'ISIS come è giusto che sia, senza indugiare troppo nel sensazionalismo o peggio nel mostrare immagini raccapriccianti a scopo di spettacolarizzazione. Altrimenti, si rischia di fare lo stesso gioco della propaganda terroristica!».
Il sociologo Giovanni Boccia Artieri, in un'intervista al Giornale di Sicilia, ha affermato che «Isis non è il più potente tra i gruppi terroristici, ma certo è il più visibile sui social». È proprio così?
«Sono d'accordo con il mio amico e collega. La visibilità dell'Isis è attribuibile alla enorme capacità di uso dei mezzi di comunicazione di massa, sia tradizionali che digitali, nonché all'uso dei video fatto con molta competenza, con una regia che ricorda i film di Hollywood. Ma l'Isis ha anche bisogno di essere molto visibile, da un lato per aumentare il proprio potere di reclutamento, dall'altro perché la sua efferatezza sta creando un movimento di opposizione anche fra altri gruppi esponenti del fondamentalismo islamico».

Usi e abusi della rete, non solo da parte di califfi e loro gregari. Internet senza regole: inevitabile?
«Io non direi che internet sia un luogo senza regole, anzi. Internet ha regole tecnologiche: quelle imposte dal software e dall'hardware che ne rendono possibile il funzionamento. Regole sociali: la netiquette, l'insieme delle buone maniere nell'uso della rete. Regole del diritto: quelle che permettono di perseguire reati come lo spamming, il fishing, la pedopornografia, il cyberstalking e così via dicendo. Come tutte le organizzazioni illecite, anche il terrorismo ha le sue vie, tecnologiche, sociali e legali, per aggirare o infrangere queste regole. Ciò non vuol dire che in rete le regole del diritto e della civile convivenza vengano meno, vuol dire solo che singoli cittadini e istituzioni devono vigilare per far si che in questo luogo di massima libertà siano rispettate gli stessi principi che hanno reso possibile una società come la nostra: liberale, democratica, rispettosa delle diversità».

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