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Pirajno: «Vandalismo contro la bellezza, una cattiveria fine a se stessa»

Il vandalismo è una forma di malattia, un voler distruggere ciò che è bello. Per chi cresce senza un barlume di conoscenza, in un ambiente disagiato, è più facile disconoscere la bellezza. Una teoria? no, una certezza. Almeno per Rosanna Pirajno che ancora una volta si batte per la sua città. E dopo le battaglie per gli alberi, eccola ritornare a parlare di Villa Giulia, come ha fatto ieri mattina indiretta, intervenendo a Ditelo a Rgs. «Da ragazzina andavo a Villa Giulia con i miei, ma da studentessa ho fatto lì i miei primi rilievi. È un angolo verde, uno spazio pubblico di questa nostra Palermo amata e odiata insieme: va rispettato, non ci sono vie dimezzo». La presidente di Salvare Palermo, proprio in questi giorni sta presentando la sua «Guida ai giardini pubblici di Palermo», che firma con Arturo Flaibani, con le foto di Sandro Scalia e Turiana Ferrara, pubblicato da Salvare Palermo.

E proprio scorrendone le pagine, si sofferma sulle statue di Villa Giulia. Cosa nota?
«Un' erma vandalizzata non è mai una cosa nuova, anzi direi che è un esercizio molto praticato in Italia - spiega l' architetto-; alcuni feriscono le statue, altri ne asportano proprio alcuni pezzi interi, le teste per esempio, da rivendere poi ad un fiorente mercato nero».
Le statue rovinate hanno spesso i nasi rotti, pezzi asportati, nulla di intero da poter rivendere ad un collezionista o che magari può finire in un salotto. Ma non è questo il caso di Villa Giulia.
«No, per Villa Giulia si tratta di puro e semplice vandalismo - risponde Rosanna Pirajno -; mi sono chiesta più volte cosa spinga un uomo ad agire così. E mi rispondo che si tratta di una forma di malattia, di violenza interiore che si rivolta contro la bellezza. Pura cattiveria di persone che non hanno cultura o conoscenza, gente senza un barlume di criterio. Spesso sono ragazzi cresciuti in quartieri disagiati che si muovono a gruppi e colpiscono alla cieca. Una Sindrome di Stendhal al contrario, lì la bellezza fa venire gli stinnicchi; qui, uccidi la bellezza perché non la comprendi».

Lei è quindi convinta che l' ambiente segni l' individuo?
«Non ne sono convinta, ne sono certa. Spesso i vandali dei beni culturali provengono da luoghi senza bellezza. Chi ha studiato o lavora in un ambiente triste, diventa un uomo triste. Mi hanno accusato di essere determinista, ma io cito sempre il Vittorini de Le città del mondo, quando scriveva che sono buoni i cittadini di città che sono belle, perché hanno tutto quello di cui hanno bisogno. Vittorini parlava di beni elementari, ma si può ampliare: se hai ciò di cui necessiti, stai bene e non hai bisogno di vandalizzare; in caso contrario, distruggi ciò che è storico, sedimentato, che non ti appartiene».

Vorrebbe inserire le immagini storiche e le mappe dei giardini pubblici che ha trovato durante le sue ricerche. Da qui parte la storia di Villa Giulia?
«Villa Giulia ha un disegno perfetto tra impianto verde e camminamenti, bordure ed aiuole. Fu inaugurata l' 11 giugno 1778, il giardino è stato impiantato due o tre volte, ben due pretori tentarono l' operazione nel 1737 e nel 1753. Ma soltanto nel 1777 Antonio La Grua, marchese di Regalmici e principe di Carini, riuscì nell' intento. Nel 1778, monsignor Giuseppe Gioeni disegna la vasca e pochi anni dopo, Ignazio Marabitti, la fontana circolare con uno scoglio artificiale su cui è collocato il piccolo Atlante in marmo che ha sul capo il dodecaedro con 12 orologi solari, del matematico palermitano, Lorenzo Federici».

Le statue. A chi si devono?
«Eresia, Scisma e Infedeltà a Lorenzo Marabitti, fratello di Ignazio, che nel 1736 le aveva pensate per il monumento a Carlo III in piazza Sant' Anna. Trasportate a Villa Giulia, si trasformarono in Rabbia, Ira e Invidia. Nell' 800 nacque il Sepolcreto dei siciliani illustri: sei cippi ma si riconoscono soltanto cinque personaggi, Archimede, Empedocle, Diodoro Siculo, il poeta bucolico romano Junio Calpurnio e Teocrito. La finta rovina è di Vincenzo Di Martino, i busti di Archimede, Giovanni Baccini e Giovanni Meli, a Rosolino La Barbera; Pietro Novelli e Ciullo D' Alcamo sono opera di Antonio D' Amore nel 1873».

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