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Ribisi: «Va bene l’export del made in Sicilia, ma deve scontare ancora troppi ritardi»

PALERMO. «La Sicilia ha una vocazione all'export. Ma questa regione sconta ancora troppi ritardi e occorre rivedere pure alcune modalità nel fare impresa, a partire, ad esempio, dalla creazione di filiere». Lo afferma il presidente di Confartigianato Sicilia, Filippo Ribisi commentando il miglioramento, seppure lieve, che registrano all'inizio del 2015, le piccole imprese siciliane sui mercati internazionali. Nel primo trimestre di quest'anno, dalla nostra regione sono volati nel mondo prodotti per un valore di 128,1 milioni di euro, pari al 7,7 per cento del totale dell'export manifatturiero nazionale (27,2 per cento), con un aumento del 5,7 per cento rispetto allo stesso periodo del 2014. A rivelare i risultati del primo trimestre 2015 delle vendite fuori dai confini nazionali dei settori a maggiore concentrazione di micro e piccole imprese è un dossier sull'«Export nei settori della piccola e media impresa», curato dall'Ufficio Studi nazionale di Confartigianato. A livello provinciale, la migliore performance per le vendite all'estero di made in Sicily proveniente dalle piccole imprese è quella di Siracusa (+44,3%), seguita da Catania (+29,5%), Trapani (+6,8%), Palermo (+5%), Caltanissetta (2,8%), Enna (+0,8%). Fanalini di coda della classifica Messina (-7,6%), Agrigento (-5,6%) e Ragusa (-1,1%). L'analisi per settori, tratta dai dati Istat, evidenzia che al primo trimestre di quest'anno si registra un maggior dinamismo dell'export per prodotti alimentari (92.157.213 euro), articoli di abbigliamento (10.470.451 euro), articoli in pelle (6.792.921 euro), prodotti in metallo, esclusi macchinari e attrezzature (7.045.300 euro), prodotti delle altre industrie manifatturiere (7.178.120 euro), mobili (2.863.070 euro), legno e prodotti in legno e sughero (1.556.255 euro).

Come possiamo leggere questo risultato raggiunto?

«C'è una buona performance del made in Sicily delle micro e piccole imprese siciliane anche se con una quota limitata sul totale dell'export manifatturiero nazionale. L'Isola sconta ancora, oltre ai danni provocati dalla crisi internazionale, che hanno avuto inevitabili riflessi sul sistema produttivo regionale, la tradizionale diffidenza delle regioni del Sud ad aprirsi ai mercati esteri, ma soprattutto la forte carenza infrastrutturale della regione».

In ogni caso lo si può considerare un segnale di ripresa importante?

«Questo miglioramento dimostra che le imprese siciliane, quando hanno l'opportunità, non sono da buttare ma si sanno fare spazio. Può sembrare poco passare dal 4,1 al 5,7. Ma in un momento di congiuntura economica è un risultato importante. Specialmente per una regione che si ritrova ad affrontare problemi che non sono di poco conto dal punto di vista delle infrastrutture e della burocrazia. Alla luce di ciò, se una impresa riesce ad andare avanti è davvero un successo. A questo, comunque, va aggiunto un altro fattore. Una parte delle istituzioni ha promosso l'export con politiche specifiche portate avanti senza troppi annunci o clamori. Spesso assistiamo a decine di conferenze stampa ma nei fatti tutto rimane fermo. In questo caso, invece, sono stati messi in moto dei meccanismi che hanno dato una certa fiducia alle imprese».

Quando parliamo di piccole imprese siciliane a cosa facciamo riferimento nello specifico?

«Chiaramente, quando parliamo di export, ci riferiamo a imprese manifatturiere, agricole o di trasformazione dei prodotti agricoli. Si tratta di realtà sotto i 50 dipendenti. Ma ci sono anche le piccolissime imprese. Stiamo assistendo a un fenomeno inaspettato. Parallelamente all'evento dell'Expo, stiamo portando avanti come Confartigianato “Fuori Expo”, una rassegna delle piccole imprese. In questa fase preparatoria abbiamo incontrato diverse realtà imprenditoriali che hanno delle potenzialità notevoli in una prospettiva di export. A un concorso nazionale, sempre di Confartigianato, su 200 imprese ne sono state selezionate venti. E una di questa era una piccola impresa siciliana che fa delle caldaie particolari che vengono alimentate con prodotti biologici. Una piccola azienda dell'Agrigentino sta facendo così parecchi contratti soprattutto con l'estero».

Per aprirsi e vendere all'estero cosa è necessario?

«Serve tanta formazione, per gli imprenditori e per le aziende. E noi come associazione ci stiamo impegnando parecchio su questo fronte. Spesso quando si sente la parola “formazione” si pensa ad un business. E non ad una reale esigenza. Si parla di formazione molte volte in relazione ai giovani. Noi invece stiamo lavorando ad un altro tipo di formazione rivolta alle imprese, ai nostri associati. I tempi sono cambiati. Chi si aspettava, ad esempio, che la trasformazione dei prodotti alimentari che fino a qualche tempo fa era appannaggio di grosse società, adesso passi anche dalle piccole aziende? E così accade nel settore dell'abbigliamento con momenti di alti e bassi. Oggi che alcuni grandi marchi hanno deciso di andare in paesi come la Cina, i terzisti stanno cominciando a produrre».

Quali sono oggi in Sicilia gli ostacoli per un'impresa?

«Essenzialmente segnalerei due cose che costituiscono un ostacolo per il settore produttivo. Innanzitutto paghiamo lo scotto di non avere una tradizione manufatturiera, o se c'era nei secoli scorsi si è persa. Non ci sono reti di impresa. Come accade ad esempio a Modena. Ci sono filiere con vantaggi notevoli per gli stessi imprenditori. In Sicilia cominciano a esserci piccole reti o filiere ma solo in alcuni settori. Da noi ogni accessorio e le materie prime devono arrivare da fuori con costi notevoli a partire dai trasporti. Un altro fattore limite è quello delle reti infrastrutturali».

Sul fronte della burocrazia?

«Le cose non vanno bene. In certi casi sono stati introdotti percorsi che rallentano e limitano ancora di più determinati iter. Oggi la politica dovrebbe lavorare nel fornire strumenti. E il politico stesso deve diventare un facilitatore di sviluppo. Ma non sempre ciò accade».

Cosa serve per l'internazionalizzazione del mercato?

«La Sicilia è in parte penalizzata dalla sua posizione geografica. Le merci devono attraversare il mare. Ma c'è comunque una forte vocazione all'export. Il siciliano è di per sé un cittadino del mondo, per tradizione e per storia. Nonostante gli ostacoli si riesce a esportare. Ma occorre fare ancora tanto. Da noi chi fa impresa viene molte volte guardato con occhio sospettoso. Ed è proprio questo aspetto che occorre cambiare».

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