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Messineo: «Mafiosi al nord da mezzo secolo, hanno infettato territori sani»

PALERMO. Non sarebbe un fenomeno nuovo, quello della migrazione delle mafie verso Nord, tanto che se ne possono far risalire le origini, secondo l' ex procuratore capo di Palermo, Francesco Messineo, «agli anni Sessanta e Settanta, quando molti mafiosi ed indiziati di mafia furono sottoposti all' obbligo di soggiorno» proprio in quel territorio. L' idea- «che sulla distanza si è dimostrata sbagliata» - era di controllarli e neutralizzarli «inserendoli in un tessuto sociale ritenuto sano». Che sono invece riusciti ad infettare: già da allora, infatti, per il magistrato, si sarebbero messe le basi per gli affari illeciti di oggi. Ma secondo Messineo vi sarebbero delle differenze tra le scelte compiute dalle varie mafie: «La 'Ndrangheta impianta cellule che seguono i vecchi riti di affiliazione e cerca proseliti tra i calabresi emigrati al Nord, per Cosa nostra si assiste piuttosto allo spostamento di singoli e a una strategia di infiltrazione sotto traccia».

La migrazione delle mafie al Nord è ormai un tema al centro delle cronache, ma èun fenomeno recente?
«No, non è affatto un fenomeno nuovo, anzi è piuttosto noto e consolidato».

A quando lo si può far risalire e, soprattutto, da cosa è stato determinato?
«Risale agli anni Sessanta e Settanta, quando per effetto delle normative sulle misure di prevenzione dell' epoca, moltissimi mafiosi ed indiziati di mafia furono inviati al Nord, per lo più in piccoli centri, con l' obbligo di soggiorno. Si pensava allora che sradicandoli dalla loro terra d' origine e collocandoli in un tessuto socialmente sano ed immune, sarebbe stato più semplice controllarli ed anche in qualche modo neutralizzarli. Sulla distanza, quest' idea si è dimostrata sbagliata».

In che modo concreto il Nord è stato a quel tempo "contaminato"?
«Si pensi alla stagione dei sequestri di persone, per esempio, o al traffico di droga che, sempre in quel periodo, ha sancito un rapporto consolidato tra Palermo e Milano. Ma gli affari nel Nord del Paese, anche allora, passavano dalla creazione dalla gestione di attività illegali, o anche legali, ma imperniate sul metodo mafioso».

E oggi? Cos' è cambiato?
«È stata completamente rovesciata da tempo la prospettiva e la strategia di contrasto precedente e, nei casi più gravi, si applica l' obbligo di soggiorno nel comune di residenza. Ma, aparte questo, credo che ci siano differenze sensibili tra il modo di trapiantarsi al Nord delle diverse mafie. In ogni caso a spingerle in questi territori sono essenzialmente due fattori. Il primo è di natura economica ed è legato alla possibilità di fare affari: il Sud, che un tempo si reggeva sui grandi appalti pubblici e su forme di assistenzialismo, adesso non può più essere una fonte di arricchimento per queste organizzazioni criminali, mentre nelle regioni del Nord ci sono ancora grossi movimenti di denaro. Non necessariamente per infiltrarsi nel tessuto economico viene peraltro utilizzata la violenza. L' altro motivo è quello legato alla pressione investigativa e giudiziaria sulle mafie: al Sud è infinitamente maggiore e questo può spingere alla fuga da territori troppo controllati. Non si tratta di una mancanza di capacità professionali nel contrasto alle mafie al Nord, perché queste capacità sono ottime ovunque, quanto di un problema legato alla conoscenza di dati, di una diversa cultura nell' affrontare il fenomeno mafioso, in territori che non hanno vissuto guerre di mafia, per esempio, ma che sono alle prese con il terrorismo o con le così dette mafia etniche. Questo permette alle organizzazioni criminali meridionali di muoversi con maggiore tranquillità, trovando lì un terreno meno saturo di pressioni. Anche se la situazione si sta rapidamente equilibrando in tutto il Paese, resta un fatto che la maggior parte dei beni sequestrati alla mafia, per esempio, si trovi tuttora in Sicilia».

Lei faceva riferimento prima ad un modo diversodi impiantarsi al Nord delle mafie. In che senso? E, le cellule che si trovano al Nord sono ramificazioni del l' organizzazione-madre o diventano dei gruppi autonomi?
«Il legame con la terra d' origine, secondo me, non viene mai reciso. Tuttavia, c' è una differenza tra le modalità utilizzate dalla 'Ndrangheta e quelle di Cosa nostra.
Nel primo caso sono state create delle cellule al Nord, con riti di affiliazione e col reclutamento di nuovi adepti tra calabresi emigrati lì. Nel secondo, invece, mi sembra che sia avvenuto uno spostamento di singoli individui per promuovere affari in un ambiente più favorevole. Si pensi alle famiglie mafiose Galatolo e Fontana dell' Acquasanta, inserite nella portualità e nella cantieristica navale del Nord Italia, ma che non hanno comunque mai spezzato il legame con la Sicilia».

È come se Cosa nostra fosse più moderna rispetto alla 'Ndrangheta, rinunciando a bruciare santini e ad antichi riti per concentrarsi invece solo sui soldi?
«Non è una questione di modernità: le cerimonie di affiliazione vengono ancora praticate in Sicilia. Cosa nostra ha privilegiato al Nord una strategia di inserimento sotto traccia, non fa proselitismo, mentre la 'Ndrangheta punta sul reclutamento».

Quale rilevanza ha la corruzione nel favorire questa migrazione?
«La corruzione è uno dei mezzi da sempre utilizzato dalle organizzazioni criminali per infiltrarsi nelle pubbliche amministrazioni e mantenere contatti impropri con funzionari e politici in grado di gestire grandi appalti. Ma la mafia si serve più che altro della sopraffazione. Se in Sicilia l' infiltrazione è stata agevolata dall' influenza politica che Cosa nostra ha, controllando grossi pacchetti di voti, al Nord credo sia più rilevante il metodo dell' intimidazione».
In alcuni casi, i tribunali del Nord non hanno riconosciuto la sussistenza del 416 bis, non trovando la prova concreta di questo potere di intimidazione. Una fattispecie che invece ha retto a Roma, nell' ambito di «Mafia Capitale». Il 416 bis secondo lei è ancora adatto o andrebbe rivisto, supportato con altri strumenti?
«La fattispecie del 416 bis secondo me resta uno strumento validissimo di lotta a queste organizzazioni criminali. Credo che ci possa essere invece una difficoltà nella sua applicazione al Nord in relazione a quelli che sono i 'saperi' del giudice, intesi come retroterra culturale, come diversa prospettiva storica e sociale rispetto al fenomeno. In Sicilia si dà per scontato ed acquisito che la mafia operi con metodi di sopraffazione e violenza e che nel suo modus operandi sia prevista l' intimidazione, anche se non è necessariamente esplicita. Un' eventuale modifica del 416 bis non risolverebbe dunque la questione. Per quanto riguarda 'Mafia Capitale', non deve sfuggire che questa è un' ottima e fortunata sintesi mediatica, ma a Roma non è stata riscontrata la presenza della mafia, non è emersa cioè la presenza di esponenti di Cosa nostra. Non ci si riferisce quindi alla mafia, ma ad un' organizzazione criminale di stampo mafioso, che il 416 bis prevede. Non è la mafia che si è spostata al Centro, ma una locale associazione criminale che utilizza gli stessi metodi e che si muove con le stesse finalità. La stessa fattispecie di reato, così come prevista dal legislatore, può essere applicata perfettamente anche alle mafie etniche, come quella russa, cinese o nigeriana».

E per la corruzione? Basta davvero soltanto l' intervento della magistratura?
«La corruzione si combatte certamente con adeguate norme repressive e con valide indagini, ma molto più efficace sarebbe contrastarla con norme organizzative idonee nella pubblica amministrazione, con dei controlli interni, con una restrizione dell' eccessiva discrezionalità legata ad alcune pratiche burocratiche, monitorando costantemente determinati rapporti tra la pubblica amministrazione e certi soggetti privati. Insomma, delle regole di organizzazione interna degli uffici che dovrebbero essere applicate secondo un piano globale. E, su questo fronte, c' è ancora molto lavoro da fare».

 

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