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Il caso Roma e Renzi in gabbia

Se oggi si votasse a Roma, il Movimento 5 Stelle vincerebbe a mani basse, la lista «Salvini per Roma» avrebbe un discreto successo, il Pd verrebbe umiliato, Forza Italia e Area Popolare sarebbero a rischio estinzione. Ma Roma non è Parma e le difficoltà che non fanno di Federico Pizzarotti un sindaco memorabile sarebbe ro moltiplicate oltre l' immaginabile. Governare Roma è più difficile che governare l' Italia e il partito di Grillo sarebbe votato probabilmente a un suicidio tra le macerie della città. Pessimismo eccesivo? È possibile, ma il rischio è grosso. Se Roma fosse una qualsiasi città d' Italia, il suo consiglio comunale sarebbe già stato sciolto per mafia. Purtroppo è un lusso che non possiamo permetterci: per risalire la china abbiamo bisogno di una reputazione internazionale che titoli come «Se Marino regge ci mangiamo Roma» (copyright Salvatore Buzzi) già stanno procurando alla capitale e alla nazione un danno tremendo.
Intendiamoci: Marino è il sindaco più impopolare e meno efficiente della moderna storia romana, ma è una persona onesta. Come è onesto il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, che al contrario di Marino è anche un amministratore capace.
L' aspetto inquietante è che nella loro anticamera - secondo l' accusa - si commettevano nefandezze che hanno fatto impallidire per primi il sindaco e il governatore.
La destra è pienamente coinvolta ed è allarmante che nella gestione del centro immigrati di Mineo in Sicilia sia stato chiamato in causa un sottosegretario vicinissimo al ministro dell' Interno. Mentre le intercettazioni che coinvolgono una cooperativa di Comunione e Liberazione dimostrerebbero che nemmeno il mondo cattolico ha le mani pulite in un settore in cui la vocazione sociale dovrebbe prevalere sul portafoglio.
Ma il cervello di questa architettura tangentizia resta Buzzi, un' autorità assoluta nel mondo delle cooperative rosse al quale parecchi amministratori del Pd (e non solo) si rivolgevano come vassalli al signore.
Matteo Renzi lo sa, ma è in gab bia. Le amministrazioni comuna lee regionale di Roma sono figlie della Ditta che lui ha rottamato.
Ma la blindatura dei vertici del Pd è stata acritica e totale per le ragioni illustrate all' inizio. Il problema del segretario (probabilmente irrisolvibile) è come restituire credibilità alla politica. Quando le mele marce nel cesto sono tante, la gente non ha occhi per vedere le sane, che pure restano la maggioranza.
Su questa vicenda si innesta quella del controllo del territorio.
Le elezioni regionali hanno dimostrato che Renzi non ce l' ha. Le sue candidate in Liguria e nel Veneto hanno perso, i cinque vincenti sono della Ditta e non lo amano. I più dicono che Renzi sarà costretto a scendere a patti se non vuole che la minoranza - gasata dai risultati delle regionali - non trasformi il Senato in un Vietnam. Ma attenzione. Uno dei meriti maggiori del presidente del Consiglio è di aver di fatto cancellato la concertazione con i sindacati che ha paralizzato l' Italia per decenni. La concertazione interna al Pd deve avere un limite: un radicale miglioramento del nuovo Senato si può concedere con qualche vantaggio generale. Ma le riforme vere (come quella della scuola) o si fanno o non si fanno.
Le mezze riforme non servono a niente. E un Renzi che galleggia diventerebbe un Rumor. Più accattivante. Ma pur sempre un Rumor. Con tutto l' affetto per la memoria del caro Mariano, Dio ce ne scampi.

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