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Sanfelice di Monteforte: "Ora il blocco navale per fermare i barconi in partenza dalla Libia"

CATANIA. Per il pattugliamento del Mediterraneo e il soccorso dei migranti nelle rotte della disperazione, tra il Canale di Sicilia e il mare greco, l’Unione Europea ha destinato più uomini e mezzi, oltre a un tesoretto aggiuntivo di 26 milioni di euro. «Triton», in Italia, e «Poseidon», nell'Egeo, si irrobustiscono: «È un buon inizio, ma il problema è che sono operazioni di contenimento destinate a durare molto a lungo — afferma l'ammiraglio Ferdinando Sanfelice di Monteforte, docente di Studi Strategici nell’Università di Trieste, già rappresentante militare per l’Italia nella Nato e nella Ue — In questi casi, si sa solo quante risorse servono per cominciare!». L’ammiraglio, che ha anche guidato nel Mediterraneo la missione antiterrorismo «Active Endeavour» decisa dall’Alleanza Atlantica dopo gli attentati del 2001 negli Stati Uniti, aggiunge: «L’Italia non poteva non chiedere l’intervento dell’Europa, dopo essersi dissanguata economicamente (con l’operazione "Mare Nostrum", ndr) per un anno e mezzo. La nostra Marina Militare, peraltro, ha navi vecchie. Mediamente hanno dai venti ai trent'anni e sono al termine del loro ciclo vitale».

Per «Triton», area di intervento estesa a 138 miglia dalla costa. Cosa cambia?

«Poco. La questione è che non si vuole entrare in acque territoriali libiche, perchè si potrebbe fare unicamente con un mandato dell’Onu. A ciò si sommano le rivendicazioni di quel Paese, che risalgono ai tempi di Gheddafi e riguardano i confini marittimi. È evidente che non si vuole urtare la suscettibilità dei libici. E questo è giusto, considerata la storia dei nostri rapporti con loro».

L'Agenzia «Frontex» aprirà una sede in Sicilia. Servirà?

«Una cosa è stare a Varsavia, altra in Sicilia. Sono sempre stato dell'idea che si riesce a capire la situazione solo standosene sul posto. Frontex ha scelto sede a Varsavia, quando arrivavano i disperati dall'Est. Bisognava capire quella realtà. Oggi, la frontiera è cambiata».

L'Europa, intanto, discute ancora di quote-migranti. Gran Bretagna, Irlanda e Danimarca insistono nel loro «no»: una sconfitta per l'Unione?

«In alcuni casi, l’Europa somiglia tanto a un mercato arabo dove tutti quanti lanciano insulti e negano gli impegni presi il giorno prima. Alla fine, però, una soluzione si trova sempre. Non so come fanno, ma è così. Adesso, siamo nella fase calda e in effetti si ha l’impressione del disastro. Troveranno, però, l’accordo perchè tutti sono consapevoli che nessuna nazione europea è in grado di giocare, singolarmente, il ruolo di potenza. Servirà tempo, comunque. Non dimentichiamo che per lanciare la seconda missione in Congo sono serviti otto mesi e altrettanto avvenne per il Ciad».

Lo scorso anno, milletrecento minori sbarcati in Sicilia senza genitori sono fuggiti dai Centri di prima accoglienza e non se ne hanno più notizie. Il piano della commissione Juncker prevede che la redistribuzione dei rifugiati potrebbe essere sospesa, se Grecia e Italia «non dovessero eseguire appropriatamente la registrazione e l'accoglienza dei migranti». È già il caso di alzare bandiera bianca?

«Quando noi ci mettiamo a fare le cose per bene, poi ci riusciamo. Io ho seguito personalmente l'arrivo dei curdi in Italia, per l'esattezza in Calabria. Avevamo una settimana per registrare tutti e rimettere a posto i centri di accoglienza, ma funzionava ogni cosa. Bisognerebbe domandarsi, allora, perchè in questi anni tanti migranti mediorientali e nordafricani, minori e adulti, sono spariti. Il sospetto è che, dovendosene fare interamente carico l'Italia, sia stato consentito loro di arrivare lì dove volevano andare. Adesso, ci è stata chiesta un'altra cosa: tenerceli, avendo fiducia nella ripartizione tra Stati europei». «Eunavfor Med» è il nome dell'operazione multinazionale che dovrebbe essere sferrata contro i «boss dei barconi».

Ma come va combattuta questa strana guerra?

«Esattamente, come si fece con la guerra dei gommoni in Albania. Non è un caso, d'altronde, che pure in Libia stanno progressivamente sparendo i barconi per lasciare spazio proprio ai gommoni. Si farà un blocco navale, che non servirà per i soli migranti ma anche per ridurre l'intensità del conflitto civile in Libia».

Qualcuno aveva parlato pure di bombardamenti...

«Bisognerebbe, però, avere qualcosa da bombardare! In questi casi, se ne sentono di tutti i colori. Non mancano neppure quelli ai quali prudono le mani e vorrebbero tornare in Libia, dimenticando che bisognerebbe ringraziare Giolitti per avere mandato nel 1911 oltre 100 mila soldati. Con i 22 mila previsti inizialmente, non ce l'avremmo fatta. Oggi, comunque, il dilemma non si pone semplicemente perchè i Paesi europei non possono mettere in campo militari in numero sufficiente».

Resta irrisolto il nodo-Libia. Proprio in queste ore l'inviato dell'Onu, Bernardino Leon, ha affermato che «sarà l'Isis a vincere se il conflitto civile continua». Ancora credibile la soluzione politica?

«Io spero di sì, ma ci ritroveremo probabilmente con una situazione molto simile a quella somala. Sono zone in cui gli interessi di chi vuole creare disordini prevalgono su quelli di chi intende andare d’accordo. Dobbiamo, quindi, confidare nel fatto che le tribù libiche trovino fra loro un’intesa. È positivo, comunque, che a differenza della Somalia la guerra civile libica è limitata. Fanno attenzione a non distruggere le infrastrutture, o compiere passi irreversibili».

Lei è stato rappresentante militare italiano nella Nato. Potrebbe servire l'intervento dell'Alleanza Atlantica nel Mediterraneo contro i trafficanti di carne umana?

«È difficile. La Nato è più rivolta alle minacce interstatuali o a quelle terroristiche. Non credo, poi, alle infiltrazioni di jihadisti tra i migranti sui barconi perchè per un’organizzazione terroristica è più probabile fare arrivare qualcuno a destinazione dandogli un passaporto falso e comprandogli un biglietto aereo in business».

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