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Terremoto in Nepal, testimoni: due italiani morti. Tra le vittime la speleologa Mancinelli

KATHMANDU. Due italiani, Renzo B. e Marco P. sarebbero morti sabato in Nepal, travolti da una frana staccatasi dalla montagna mentre erano impegnati a 3.500 metri di quota in un trekking nella Rolwaling Valley. Lo hanno riferito all'ANSA due loro compagni di spedizione che si trovano oggi a Kathmandu.

Sono oltre 4000 i morti del terremoto in Nepal, secondo il bilancio ufficiale nepalese. Il bilancio è ancora provvisorio, poichè non sono disponibili i dati di molti villaggi di montagna che i soccorritori faticano a raggiungere a due giorni dalla prima micidiale scossa.

Sempre secondo i testimoni, i cadaveri di due italiani (Renzo B. e Marco P.) sarebbero stati recuperati ma sono ancora sul posto. Lo ha appreso oggi l'ANSA a Kathmandu. In un ospedale della capitale vi sono altri due membri della spedizione: Iolanda M., ferita, e Attilio D., illeso.

Un altro 24enne veronese, Giovanni Cipolla, risulta disperso in Nepal. Come riferisce L'Arena, l'ultimo contatto dei familiari con il giovane scalatore risale a poche poche ore prima del terremoto che ha sconvolto il Paese. Il 24enne sarebbe stato proprio a Kathmandu, la capitale del Nepal. La famiglia avrebbe avviato contatti con la Farnesina.

Ancora nessuna notizia intanto dei quattro speleologi italiani del Soccorso aplino che si trovavano a Langtang, uno dei villaggi distrutti dal sisma in Nepal, per una spedizione che comportava l'esplorazione di alcune forre. I contatti con Giuseppe 'Pino' Antonini, 53 anni, di Ancona, Gigliola Mancinelli, 51 anni, anche lei di Ancona, medico anestesista, Oskar Piazza, del Soccorso alpino del Trentino Alto Adige, e Giovanni 'Nanni' Pizzorni, 52 anni, genovese, esperto torrentista, si sono interrotti da sabato.  La speranza è che abbiano difficoltà a ricaricare i telefoni satellitari che hanno in dotazione.

Il Soccorso alpino delle Marche, intanto, sta cercando di attivare i contatti in zona con guide nepalesi. «Il Nepal - dice Paolo Panini - è per molti di noi una seconda casa, in quel Paese organizziamo molte spedizioni e abbiamo una serie di contatti». Ma per il momento sembra che nessuno sia in grado di dare informazioni sui quattro tecnici.

«Abbiamo visto la morte in faccia»: lo ha detto l'alpinista Mario Vielmo, uno dei cinque italiani che hanno raggiunto il laboratorio Piramide dell'associazione Ev-K2-Cnr, che si trova a 5.050 metri di quota sul versante nepalese dell'Everest. La testimonianza è stata raccolta con una registrazione audio della stessa associazione.Persone, impossibile dire quante, inghiottite dai ghiacci nei crepacci che si trovano in una delle zone più pericolose dell'Everest, quella che collega il campo base al Campo 1. Lo riferisce l'associazione Ev-K2-Cnr, sulla base di quanto riportato ieri dagli sherpa sulla conseguenze di un fenomeno diverso rispetto a quello delle due valanghe. A riferire la testimonianza degli sherpa è l'alpinista Mario Vielmo.

La zona in cui sono state viste le persone intrappolate nei ghiacci è quella nota agli alpinisti come 'icefall', la cascata di ghiaccio che si trova tra il Campo base dell'Everest e il Campo 1 e si trova nella zona opposta a quella colpita nei giorni scorsi dalle due valanghe. «È un percorso molto pericoloso - osserva il portavoce dell'associazione Ev-K2-Cnr, Pietro Coerezza - perchè lì il ghiaccio è normalmente in movimento». Basti pensare che in un crollo avvenuto sulla icefall un anno fa avevano perso la vita 16 persone, per la maggior parte sherpa. «È difficile - aggiunge l'associazione - avere una stima di quante possano essere le vittime».

Le due valanghe, avvenute sul versante opposto dell'Everest, hanno invece provocato complessivamente, secondo le stime, fra 19 e 22 vittime e 60 feriti.«Un mio amico inglese è riuscito a mettersi in contatto con le guide nepalesi. La loro spedizione nella zona dell'Everest si è salvata. Gli hanno detto che il Nepal è distrutto e il terremoto si è abbattuto con forza proprio nel Langtang e che ci sono difficoltà enormi per comunicare. Loro non hanno notizie degli speleologi italiani».

Josè Scanu, tecnico del soccorso alpino di Genova ed amico di Giovanni «Nanni» Pizzorni, il torrentista di Recco scomparso insieme ad altri tre compagni durante una spedizione proprio in Nepal durante il terremoto s'aggrappa alle difficoltà di comunicazione per sperare che i quattro siano ancora in vita e che non riescano a contattare soccorritori e familiari. «Sono stato nel Langtang qualche mese fa - sottolinea - proprio lì abbiamo conosciuto Oskar Piazza (uno dei quattro dispersi) che era andato ad attrezzare alcuni percorsi proprio per il canyoing. È un luogo meraviglioso ma anche molto selvaggio. Per questo c'è la speranza che Giovanni stia bene ma non riesca a mettersi in contatto».  Pizzorni aveva partecipato anche a numerose spedizioni di soccorso con Scanu. Tra questa anche quella di Elias Kassabij, il medico siriano di 50 anni che nel gennaio del 2014 a Sessarego sulle alture di Bogliasco (Genova) era stato travolto dalla piena del torrente. Venne trovato morto il giorno successivo: «È un torrentista ed un soccorritore molto esperto - conclude Scanu - ci auguriamo che possa essere riuscito a mettersi in salvo anche in situazioni estreme come quelle accadute in Nepal».

Intanto, è salito a 3.617 morti il bilancio dei morti accertati. Lo ha reso noto la polizia. Tra i morti nel sisma, se ne registrano oltre 1.300 soltanto nella valle di Kathmandu. E si contano anche 6.515 feriti, ha riferito il dipartimento di polizia su twitter.  Al momento è stata accertata anche la morte di 18 persone in seguito ad una valanga che ha colpito un campo base sull'Everest. Altri 61 morti si registrano in India.

È morta la speleologa italiana Gigliola Mancinelli, dispersa nel terremoto in Nepal. Era insieme ad Oskar Piazza, nella zona di Langtang. Salvi invece gli altri due italiani del gruppo: Giuseppe Antonini e Giovanni Pizzorni, che ha riportato varie fratture. Giuseppe è riuscito oggi a mettersi in contatto con i familiari ad Ancona.

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