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Il ritorno di Conte allo Stadium
"Mai pensato alle dimissioni"

Stasera amichevole a Torino della Nazionale contro l'Inghilterra

Antonio Conte

TORINO. «Tu chiamale, se vuoi, emozioni». Antonio Conte le racconta così, alla vigilia del suo giorno più lungo: tra una citazione di Lucio Battisti e una di Mennea («per fare avverare grandi sogni ci vuole grande fatica», scandisce ascetico nella conferenza stampa della vigilia di Italia-Inghilterra). Dopo 8 mesi e una separazione tormentata, torna da commissario tecnico della nazionale nello stadio dei suoi trionfi juventini. Tutto sembra cambiato, la passione travolgente per la società bianconera si è trasformata in astio, con ripicche ai limiti della meschinità: proprio come per certi grandi amori finiti. E il racconto dei piatti che volano, questa forma di gossip sportivo, copre quasi l'evento, un'amichevole con gli inglesi guidati da Roy Hodgson che pure qualche motivo di interesse lo offrirebbe.

«Ma io - spiega Conte - ho provato emozioni forti arrivando qui, varcando i cancelli, entrando nello spogliatoio. Alla Juve ho vissuto tre anni fantastici, straordinari, con ricordi indelebili. Sono cosi tanti che non so sceglierne uno». Le domande però sono come le ripicche, lo inseguono: «Caro Conte - gli chiedono - si aspetta più tifosi o più gufi in tribuna domani?». Inspira, prende tempo: poi replica severo «Gioca la nazionale, mi aspetto unita d'intenti». Prova a uscire dall'assedio dialettico, il commissario tecnico. E - fatto inconsueto - regala persino in anticipo i nomi della formazione che affronterà i 'bianchì col ciclone Harry Kane punta di diamante. «Giocano Buffon, Ranocchia, Bonucci, Chiellini in difesa. Florenzi e Darmian esterni, Parolo, Valdifiori e Soriano a centrocampo, Pellè ed Eder in avanti». Serve a poco, anche se lui insiste. «Mi raccomando, non bocciate subito i giovani, perchè certi giudizi ti scavano dentro. Non so se soli contro tutti vinceremo, certo stiamo cercando di lavorare per costruire qualcosa di buono. C'è ricambio generazionale di giocatori e dirigenza, bisogna avere pazienza di farli crescere, questi ragazzi. Ho la fortuna di avere un gruppo di giocatori bravi sotto molti punti di vista e questo mi lascia tranquillo. Queste amichevoli importanti servono perchè si cresce e mi danno la possibilità di vedere tutti a un certo livello, di verificare se ognuno è dentro il progetto. Però - si toglie un sassolino dalle scarpe - quelle di qualificazione sono le gare davvero ostiche: come in Bulgaria dove l'Italia non ha mai vinto e noi sabato avremmo meritato di più». Ma il discorso torna lì: come lo accoglierà lo Juventus Stadium domani? «I tifosi - replica - devono tifare Italia, io credo di avere un ottimo rapporto con loro, sanno che noi lavoriamo in un momento non semplice. Quando uno dà il massimo poi è tranquillo».

Gli chiedono se ha mai pensato venerdì scorso, il giorno dell'infortunio di Marchisio con il giallo dei referti medici e le critiche di John Elkann ai suoi metodi da ct, di lasciare la nazionale. «Io vado avanti per il mio lavoro. Non sarà facile. Il pensiero di mollare? - aggiunge scuotendo la testa - Ne ho avuti molti altri peggiori. Io vado avanti e  continuo sapendo che occorrerà lavorare tanto». Chiude con una lunga tirata. «Dicono che lavoro troppo. Boh... Essere considerato un'eccezione perchè lavoro mi fa strano. Dobbiamo avere l'umiltà di capire chi siamo e lavorare. Poi ci sorprendiamo se squadre come la Croazia sono avanti a noi. Semplice, hanno calciatori con più esperienza, hanno lavorato di più. Chiellini è capocannoniere azzurro e secondo è Bonucci, come fate a non rendervi conto? Capisco che la polemica serve a giornali e tv, ma ricordatevi - e sembra tanto una risposta a John Elkann - che solo il lavoro paga». I piatti continuano a volare, tu chiamale se vuoi emozioni.

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