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"Je suis Coulibaly", condannato il famoso comico Dieudoné

Due mesi di prigione con la condizionale per «apologia del terrorismo»: è l'ennesima condanna della sua carriera per il controverso comico francese Dieudonnè, questa volta per la frase shock postata su Facebook all'indomani della strage del 7 gennaio al giornale satirico Charlie Hebdo: «Je suis Charlie Coulibaly».

PARIGI. Due mesi di prigione con la condizionale per «apologia del terrorismo»: è l'ennesima condanna della sua carriera per il controverso comico francese Dieudonnè, questa volta per la frase shock postata su Facebook all'indomani della strage del 7 gennaio al giornale satirico Charlie Hebdo: «Je suis Charlie Coulibaly». L'artista dovrà inoltre versare un euro simbolico alle associazioni che si sono costituite parte civile.

La procura aveva richiesto una multa di 30.000 euro, commutabile in una pena detentiva, invitando i giudici di Parigi a considerare la dichiarazione, il contesto in cui è stata pronunciata e la personalità dell'autore, finito alla sbarra più volte per le sue provocazioni razziste e a connotazione antisemita. Domani lo stesso tribunale è chiamato ad esprimersi sulle accuse di incitamento all'odio verso gli ebrei dopo le parole dell'umorista contro il giornalista di France Inter, Patrick Cohen. In un messaggio pubblicato sul social network lo scorso 11 gennaio, mentre milioni di persone scendevano in piazza per rendere omaggio alle 17 vittime degli attentati alla redazione del settimanale satirico Charlie Hebdo e al supermercato kosher della Porte de Vincennes, Dieudonnè aveva detto di sentirsi «Charlie Coulibaly», associando lo slogan di sostegno al giornale («Je suis Charlie») al nome di Amedy Coulibaly, uno dei tre jihadisti che hanno seminato morte a Parigi.

A nulla è valsa la difesa del comico che durante la sua udienza lo scorso 4 febbraio aveva condannato «in modo assoluto e senza ambiguità questi attentati e ogni forma di violenza in
generale». Secondo lui la sua frase era stata male interpretata: il parallelo tra Charlie e Coulibaly era a suo avviso solo «una parola di pace». E aveva spiegato di sentirsi «trattato come un terrorista» per il linciaggio mediatico e i divieti ai suoi spettacoli, ma in realtà di sentirsi «come Charlie». Nella sentenza di oggi il tribunale ha ritenuto la frase incriminata «una confusione provocatoria» spiegando che identificandosi con Amedy Coulibaly, uno degli attentatori, Dieudonnè contribuisce così a «banalizzare» gli atti del terrorista.
Intanto domani è attesa un'altra decisione della giustizia sul caso Dieudonnè accusato di incitamento all'odio verso gli ebrei per aver detto nel suo spettacolo 'Le Mur' - vietato in
diverse città di Francia nel 2014 - che il giornalista Patrick Cohen merita «le camere a gas». Il comico avrebbe così reagito a una provocazione di Cohen che l'avrebbe definito pubblicamente come «un cervello malato».

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