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Bersani verso lo scontro con Renzi e diserta l'incontro al Nazareno

Con lui mancheranno tanti altri esponenti della minoranza Pd, che soprattutto dopo la vicenda Jobs act dichiarano di sentirsi «presi in giro» dal segretario

Pierluigi Bersani

ROMA. Non ci sta a fare il «figurante» di un confronto interno in favor di telecamera. Pier Luigi Bersani annuncia con parole molto dure che diserterà domani le quattro ore di confronto organizzate da Matteo Renzi al Nazareno su Rai, fisco, scuola e ambiente.

Con lui mancheranno tanti altri esponenti della minoranza Pd, che soprattutto dopo la vicenda Jobs act dichiarano di sentirsi «presi in giro» dal segretario. «Polemiche sterili e ingiustificate», replica con altrettanta nettezza Renzi, «stupito» dall'aventino della minoranza.

 Il premier dichiara di non comprendere «chi gioca la carta della polemica interna» a fronte del suo invito al confronto. «Tutte le principali decisioni di questi 15 mesi», inclusi Jobs act e riforme, «sono state discusse e votate negli organismi di partito», sottolinea. E rivendica di essersi sempre misurato su tutti i temi con un metodo «aperto e inclusivo», tutt'altra cosa rispetto ai «caminetti ristretti del Pd vecchia maniera».

Ma il segretario non sembra convincere i suoi interlocutori interni. Chi ha deciso di declinare l'invito, lo fa a titolo personale. «Nessun ordine di scuderia», assicurano i bersaniani. Ma di fatto, spiegano, tanti parlamentari di Area riformista e di Sinistra dem, oltre ai civatiani, domani non parteciperanno. Ci sarà il capogruppo Roberto Speranza e ci saranno altri esponenti della minoranza come Francesco Boccia. Ma tanti altri spiegano di non aver gradito modi e tempi del confronto: «Non si possono invitare il mercoledì - osserva Nico Stumpo - oltre 400 parlamentari per il venerdì in una sala che contiene 200 persone, a discutere in 4 ore di temi di gran rilievo». «Non mi sembra una formula utile e seria», dice Alfredo D'Attorre.

Pier Luigi Bersani incrocia Lorenzo Guerini alla buvette della Camera e traduce il suo disappunto in una battuta: «Mi sto allenando con il burocratese...», dice in riferimento all'invito di Renzi a mandare un contributo scritto con linguaggio non burocratico. Poi in un'intervista ad Avvenire scandisce parole durissime: «M'inchino alle esigenze della comunicazione, ma che gli organismi dirigenti debbano diventare figuranti di un film, non ci sto».

L'ex segretario invoca un confronto nel merito senza chiusure preventive. Perciò avverte che il governo non può pensare di approvare alla Camera l'Italicum così com'è: «Il combinato disposto» con la riforma costituzionale «rompe l'equilibrio democratico».

Dunque o cambia l'uno o l'altra: «Se il ddl costituzionale va avanti così, non accetterò mai di votare la legge elettorale» senza modifiche. I bersaniani invitano anche a mettere finalmente a punto le regole delle primarie, dopo il caos in Campania. Ma il punto di rottura con Renzi è stato il Jobs act. Quella legge, secondo Bersani, «mette il lavoratore in un rapporto di forze pre-anni '70» e si pone perciò «fuori dall'ordinamento costituzionale».

Il fatto che il governo non abbia accolto le modifiche proposte «all'unanimità» dal Pd nei pareri sui decreti attuativi del Jobs act, fa apparire ora una «ridicola presa in giro», secondo Stefano Fassina, il gesto del segretario di convocare quegli stessi parlamentari a discutere di fisco.

E se Pippo Civati se la cava con una battuta («Domani ho judo»), Gianni Cuperlo spiega che non andrà perché prima serve «un chiarimento sul rapporto tra governo e Parlamento», con una convocazione dei gruppi parlamentari per discuterne, «magari non in streaming». E con riferimento all'opa Mediaset sulla Rai Cuperlo scherza: «Domani non c'è lo streaming? Forse hanno venduto i ripetitori».

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