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I colpi da maestro di Matteo Renzi: fa capire a tutti che non teme nessuno

Fa capire a tutti che non teme nessuno: Alfano vuole andarsene? Berlusconi nicchia su riforme ingoiate come l’olio di ricino in attesa dello zuccherino quirinalizio mai arrivato? Bene, lui se ne buggera perché basta un fischio per trovare legioni di Responsabili pronte a seguirlo

Non sappiamo se Matteo Renzi sia un giocatore di poker. Certo in politica si comporta come se lo fosse. Fa capire ai compagni di tavolo di avere poco più di una scartina in mano e quando quelli calano un tris (Amato), lui li brucia con un poker (Mattarella). Appena Alfano alza la voce, lui dice «vedo» e scopre il bluff, costringendo l’incauto alleato a lasciare il tavolo («Con Renzi va tutto benissimo»).

Berlusconi prova ad alzare la posta («Il Patto del Nazareno è rotto») e l’altro rilancia a un livello insostenibile: con il bastone gli rifila un aumento del canone per l’affitto delle frequenze televisive di 80 milioni in sette anni (120 alla Rai, odiata e stremata), con la carota promette una neutralità attiva sulla possibile alleanza Mediaset-Telecom e lascia capire che il 20 febbraio il 3 per cento di condono fiscale potrebbe valere anche per lui che l’8 marzo finirà comunque di scontare la pena per frode fiscale.

Per chiudere, fa capire a tutti che non teme nessuno: Alfano vuole andarsene? Berlusconi nicchia su riforme ingoiate come l’olio di ricino in attesa dello zuccherino quirinalizio mai arrivato? Bene, lui se ne buggera perché basta un fischio per trovare legioni di Responsabili pronte a seguirlo. Insomma: a brigante, brigante e mezzo. Dopo il capolavoro compiuto con Mattarella, Renzi è al massimo del suo potere. È riuscito con un colpo da maestro a unire il Pd come non lo era mai stato sotto la sua gestione (e meno che mai sotto le altre) e non ha disagio a schernire alleati e avversari, mai così indeboliti. Cresce il numero di persone che in privato esprimono il loro dissenso dal presidente del Consiglio, ma pochissimi portatori di interessi osano farlo in pubblico, ben sapendo che i loro interessi sarebbero penalizzati senza remissione. I dissenzienti che non ce la fanno a votare per Salvini e per Grillo, subiscono la frustrazione di vedere i tradizionali riferimenti del centrodestra moderato in un momento di grande confusione.

Alleanza Popolare (NCD e UDC) attraversa un momento delicatissimo. Se non trova con urgenza uno spazio in cui qualificarsi (imposizione sulla casa, pressione fiscale, alcuni aspetti delle unioni civili), rischia di trasformarmi nel glorioso Partito dei Contadini di memoria sovietica: per dimostrare di operare in un regime pluralistico, il partito comunista inventò un partitino satellite fatto a propria immagine e somiglianza che naturalmente gli dava il fastidio della mosca all’elefante. Per Forza Italia vale un discorso simile. Finora Berlusconi ha approvato con i suoi voti decisivi una legge elettorale non conveniente e una riforma del Senato che non gli piace contando di potersi eleggere cento deputati fedeli e di poter concordare un capo dello Stato «amico». La seconda opzione è andata male.

Quanto alla prima, se alza ancora la voce, Renzi in un nanosecondo va incontro alle esigenze della minoranza del Pd, riduce il numero dei «nominati» (nemmeno troppo perché la legge conviene anche a lui) e lascia il Cavaliere con un palmo di naso. Quel che il suo (ex) elettorato si aspetta da Berlusconi è che riprenda le battaglie tradizionali del centrodestra, cedute in larga parte a Salvini e senza gli eccessi di quest’ultimo. Se guarda i sondaggi del Veneto dove la Lega vale il triplo di Forza Italia forse gli viene qualche buona idea. A costo di far pagare il conto a Mediaset.

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