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Depuratori e fognature in Sicilia, si lavora solo per dieci opere sulle 96 previste

L’Italia rischia una condanna dall’Unione europea: una salata multa da un miliardo che inciderà nell’Isola per 185 milioni

PALERMO. Ci chiamano l'Occidente civilizzato ma ci sono numeri che fanno paura e suggeriscono tutt'altro. In Italia solo 64 cittadini su cento sono dotati di un sistema fognario. Dietro di noi ci sono Paesi come l'Estonia e la Slovenia. I dati forniti dalla struttura contro il dissesto idrogeologico e lo sviluppo delle infrastrutture idriche, voluta dal governo Renzi, sono impietosi. E la Sicilia sta messa ancora peggio.

Secondo l'annuale fotografia di Legambiente, nell'Isola la depurazione delle acque è estremamente irregolare. A Catania nel 2014 la capacità di depurazione è stata del 24 per cento: si tratta di un indice che tiene conto ad esempio degli abitanti allacciati agli impianti di depurazione e dei giorni di funzionamento dell'impianto di depurazione. Facile immaginare a cosa sia dovuta una percentuale così bassa. A Palermo le cose vanno un po' meglio (si fa per dire): il dato sale al 49 per cento, mentre a Messina è al 48 per cento.

La situazione è drammatica e ha ovvie conseguenze sull'ambiente. Su questo aspetto l'Unione europea non perdona e dopo aver condannato l'Italia per la mancata depurazione delle acque reflue e le irregolarità nella manutenzione dei depuratori, il prossimo anno potrebbe sanzionare lo Stato con una maxi multa da un miliardo che inciderà in Sicilia per 185 milioni. L'Italia potrebbe anche incorrere nello stop ai fondi comunitari e a severe sanzioni per ogni altro giorno di ritardo dal momento della scadenza. Una beffa se consideriamo che ormai da tre anni è a disposizione oltre un miliardo di euro per regolarizzare gli impianti.
Per questo Renzi è corso ai ripari annunciando il commissariamento dell'Isola. Nel 2012 lo Stato stanziò un miliardo e 160 milioni per 96 opere agli impianti di depurazione dei Comuni siciliani che dovranno essere quanto meno avviati entro l'anno. Al momento solo una decina sarebbe a buon punto.
Le regole per il trattamento delle acque reflue urbane sono state introdotte dall'Europa con una direttiva Comunitaria del 21 maggio 1991. L'Italia però non si è adeguata e per ben due volte è stata condannata dalla Corte di giustizia europea.

Il governo Renzi ha intanto nominato una struttura d'emergenza, guidata da Erasmo D'Angelis, per fare luce sui ritardi e accelerare la spesa. Il problema non è affatto legato alla mancanza di risorse. Nel 2012 il Cipe, struttura statale che si occupa di sviluppo, ha stanziato un fiume di denaro per le Regioni del Sud per un totale di 183 interventi tra depuratori, collettori e reti fognarie. La Sicilia è la Regione che ha fatto peggio di tutte: a fronte di un miliardo e 161 milioni messi a disposizione, il governo nazionale ha appurato pochi mesi fa che su 96 opere programmate solo una decina erano cantierabili per una spesa ferma a circa 24 milioni.

Eppure solo un anno fa l'associazione dei costruttori e l'ex dirigente Lupo avevano annunciato l'avvio di una prima tranche di appalti per 232 milioni di euro, con ben 64 interventi già in fase di progetto, 15 in fase di approvazione e 14 prossimi all'affidamento. Cosa sia successo nel frattempo e perché l'iter è andato a rilento, non è dato saperlo. La struttura speciale voluta da Renzi ha provato a sintetizzare le cause parlando di «procedure burocratiche abnormi», di »ricorsi infiniti dopo ogni appalto» e di «ritardi ed eccessiva complessità delle procedure di valutazione di impatto ambientale».

Fatto sta che il tempo stringe e i problemi riguardano in maniera diffusa tutto il territorio siciliano. In una recente interrogazione a Bruxelles, l'eurodeputato dei Cinque Stelle, Ignazio Corrao, ha chiarito che la procedura d'infrazione aperta dall'Ue interessa ben 175 agglomerati urbani siciliani. La Sicilia è risultata insomma la regione italiana con il maggior numero di irregolarità. Nella condanna dell'Europa è emerso addirittura che 27 agglomerati siciliani sono manchevoli di rete fognarie, per un totale di una novantina di Comuni mentre molti altri ne sono in possesso ma le strutture sono carenti.

Il miliardo stanziato dal Cipe è per la maggior parte destinato a interventi a Catania e provincia, la zona più disastrata, con oltre 600 milioni a disposizione. Segue Palermo con 171 milioni, Trapani con 148 milioni, Messina con una novantina di milioni, Agrigento con quasi 50 milioni e infine Siracusa e Ragusa con oltre 50 milioni. Lungo l'elenco delle opere in attesa di essere realizzate. Ad Agrigento al danno si è aggiunta la beffa con un depuratore da due milioni e mezzo costruito e mai entrato in funzione. Ieri gli ispettori dell'Irsap, l'Istituto per lo sviluppo delle attività produttive presieduto da Alfonso Cicero, sono intervenuti presso la zona industriale di Ravanusa-Campobello di Licata per vagliare le decisioni da assumere in relazione al depuratore consortile dell'agglomerato industriale.

Un'infrastruttura - fanno sapere dall'Irsap - costata 2,5 milioni di euro, completamente abbandonata e mai entrata in funzione, realizzata con i fondi del "Contratto d'Area" sulla base di un progetto presentato dall'ufficio tecnico dell'ex consorzio Asi di Agrigento. Un progetto iniziale di 1,8 milioni a cui si sono aggiunte varianti e spese di progettazione per un ammontare complessivo di 2,5 milioni di euro. A queste somme - rende noto ancora l'Irsap - a fronte di un'opera completamente abbandonata, si aggiunge quasi un milione di euro frutto di un lodo arbitrale mai appellato dalla pregressa gestione dell'ex Asi di Agrigento. Siamo in presenza non di una infrastruttura a servizio delle imprese, ma di un'opera che ha rappresentato un'opportunità per altri affari a danno del tessuto economico produttivo della provincia».

Il presidente Cicero ha quindi spiegato che «queste vasche contengono il bene prezioso dell'acqua e non sono a servizio delle imprese ma di soggetti che fanno altro e che prelevano acqua in modo abusivo. Questa è la verità. È dura, amara, va svelata».

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