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Un siciliano per l’Italia

Un uomo di poche parole e dall’altissimo senso delle istituzioni per svolgere il più alto ruolo della Repubblica

Ricordiamo Sergio Mattarella quel 6 gennaio orribile di 35 anni fa. La camicia e il pullover chiari macchiati di sangue. Chino sul corpo del fratello Piersanti, il grande presidente di quest’Isola appena ucciso dai mafiosi. Pallido. L’espressione tetra e ferma. Lo sguardo pensoso che cercava nel vuoto risposte terribili. Si era, come molti sostennero, al delitto politico più grosso dopo il caso Moro. Quella morte cambiava per sempre la vita di Sergio.

Nella politica si muoveva allora con distacco. Era, insieme a pochi giovani intellettuali, dentro un gruppo di cervelli che collaborava col fratello. Professore di diritto parlamentare, aspirava alla carriera accademica. Da quel momento la politica, invece, diventa tutto. E in politica ha fatto tutto. È stato uomo di partito impegnato nei maggiori vertici. Componente della direzione, vicesegretario, direttore del Popolo. È stato uomo delle istituzioni. Più volte ministro e vicepremier. Poi lascia ritornando al suo impegno di giurista come giudice della Corte Costituzionale. Ora è richiamato alla politica. Per svolgere il ruolo più alto della Repubblica.

Che Presidente sarà quest'uomo silenzioso e pacato che arriva al Colle? Il ruolo è sempre influenzato da una spinta duplice, la cultura e le idee personali da un lato, gli sviluppi politici e sociali dall'altro. Siamo certi, invece, che non verranno meno lo stile e i modi con cui si è comportato negli incarichi precedenti. È silenzioso, molti hanno scritto in questi giorni di un politico che sussurra. Ma sa essere, quando ritiene, tagliente ed esplicito. È pacato, ma tutt'altro che docile, meno che mai molle. E determinato, fino a diventare irremovibile.

È uomo di sinistra, cattolico rigoroso, riformista attento alla società dei deboli. Non per nulla ieri, nelle diciassette parole del suo primo discorso, si è riferito in primo luogo alle «difficoltà» degli italiani. Ma ha un senso altissimo delle istituzioni. Non ama gli strappi. Vuole il rispetto delle regole quando le istituzioni si aprono al sociale. È siciliano, autonomista convinto. Lo vediamo, da giudice costituzionale, impegnato con forza per ridurre i poteri di controllo da parte del commissario dello Stato sulla Regione.

Ma è un siciliano che vede la Sicilia saldamente legata all'Italia e all'Europa. Critico intransigente dei vizi di una certa isola, quella delle mafie, dei clientelismi e delle dissennatezze della spesa pubblica. Ha sempre sollecitato, da Palermo e da Roma, quelle «carte in regola» che il fratello Piersanti ripetutamente indicava per «meritare» attenzione e solidarietà da Roma e da Bruxelles verso i siciliani. Questo stile, questi comportamenti, anticipano già la sostanza della sua azione presidenziale. Assume l'incarico nella fase politica forse più complessa dal dopoguerra.

La sua elezione segna un successo evidente di Matteo Renzi. Il quale ha mantenuto gli impegni. Sale sul Colle un presidente proposto dal Pd, eletto alla quarta votazione, in grado di ottenere un ampio consenso parlamentare (665 voti sui 505 necessari). Ma si è ad una leadership forte in un contesto politico che resta debole. Segnato da troppi strappi e strategie tortuose che si contrastano dietro intese apparenti. Dietro svolte e giravolte di ieri, riconosciamolo, c'è più calcolo che responsabilità. Ma l'Italia ha bisogno di unità e stabilità politica.

Nell'unità tra diversi e nella stabilità si deve poter completare il percorso verso le riforme che si è iniziato. Per avere istituzioni più leggere ed efficienti, in un saldo equilibrio tra i poteri, dove i tempi delle decisioni siano meno lenti di adesso quando il mondo globale impone, con una straordinaria rapidità, i fatti dell'economia e della società. Sono indispensabili meccanismi elettorali che favoriscano la certezza delle maggioranze e la solidità dei governi. Sergio Mattarella sa tutto questo.

Nella politica si muoveva allora con distacco. Era, insieme a pochi giovani intellettuali, dentro un gruppo di cervelli che collaborava col fratello. Professore di diritto parlamentare, aspirava alla carriera accademica. Da quel momento la politica, invece, diventa tutto. E in politica ha fatto tutto. È stato uomo di partito impegnato nei maggiori vertici. Componente della direzione, vicesegretario, direttore del Popolo. È stato uomo delle istituzioni. Più volte ministro e vicepremier. Poi lascia ritornando al suo impegno di giurista come giudice della Corte Costituzionale. Ora è richiamato alla politica. Per svolgere il ruolo più alto della Repubblica. Che Presidente sarà quest'uomo silenzioso e pacato che arriva al Colle? Il ruolo è sempre influenzato da una spinta duplice, la cultura e le idee personali da un lato, gli sviluppi politici e sociali dall'altro. Siamo certi, invece, che non verranno meno lo stile e i modi con cui si è comportato negli incarichi precedenti. È silenzioso, molti hanno scritto in questi giorni di un politico che sussurra. Ma sa essere, quando ritiene, tagliente ed esplicito. È pacato, ma tutt'altro che docile, meno che mai molle. E determinato, fino a diventare irremovibile. È uomo di sinistra, cattolico rigoroso, riformista attento alla società dei deboli. Non per nulla ieri, nelle diciassette parole del suo primo discorso, si è riferito in primo luogo alle «difficoltà» degli italiani. Ma ha un senso altissimo delle istituzioni. Non ama gli strappi. Vuole il rispetto delle regole quando le istituzioni si aprono al sociale. È siciliano, autonomista convinto. Lo vediamo, da giudice costituzionale, impegnato con forza per ridurre i poteri di controllo da parte del commissario dello Stato sulla Regione. Ma è un siciliano che vede la Sicilia saldamente legata all'Italia e all'Europa. Critico intransigente dei vizi di una certa isola, quella delle mafie, dei clientelismi e delle dissennatezze della spesa pubblica. Ha sempre sollecitato, da Palermo e da Roma, quelle «carte in regola» che il fratello Piersanti ripetutamente indicava per «meritare» attenzione e solidarietà da Roma e da Bruxelles verso i siciliani. Questo stile, questi comportamenti, anticipano già la sostanza della sua azione presidenziale. Assume l'incarico nella fase politica forse più complessa dal dopoguerra. La sua elezione segna un successo evidente di Matteo Renzi. Il quale ha mantenuto gli impegni. Sale sul Colle un presidente proposto dal Pd, eletto alla quarta votazione, in grado di ottenere un ampio consenso parlamentare (665 voti sui 505 necessari). Ma si è ad una leadership forte in un contesto politico che resta debole. Segnato da troppi strappi e strategie tortuose che si contrastano dietro intese apparenti. Dietro svolte e giravolte di ieri, riconosciamolo, c'è più calcolo che responsabilità. Ma l'Italia ha bisogno di unità e stabilità politica. Nell'unità tra diversi e nella stabilità si deve poter completare il percorso verso le riforme che si è iniziato. Per avere istituzioni più leggere ed efficienti, in un saldo equilibrio tra i poteri, dove i tempi delle decisioni siano meno lenti di adesso quando il mondo globale impone, con una straordinaria rapidità, i fatti dell'economia e della società. Sono indispensabili meccanismi elettorali che favoriscano la certezza delle maggioranze e la solidità dei governi. Sergio Mattarella sa tutto questo. Spetta a lui favorire le condizioni della fase riformista che si è iniziata mantenendo l'imparzialità dell'arbitro di cui più volte ha mostrato di essere assertore. Dovrà essere insieme, come scriveva ieri Massimo Franco sul Corriere, un garante della costituzione e un regista dei suoi cambiamenti nei modi che la stessa Costituzione prevede. Un compito arduo quanto faticoso, nel quale si è impegnato fino in fondo Napolitano. Mattarella non si tirerà indietro, rispettando fino in fondo vincoli e regole del suo mandato. Attento, come ha detto nelle diciassette parole di cui sopra, «alle speranze degli italiani». Aiuterà la politica a realizzare questa fase. Sempre che la politica lo aiuti ad aiutarla. Buon lavoro Presidente.  Dovrà essere insieme, come scriveva ieri Massimo Franco sul Corriere, un garante della costituzione e un regista dei suoi cambiamenti nei modi che la stessa Costituzione prevede. Un compito arduo quanto faticoso, nel quale si è impegnato fino in fondo Napolitano. Mattarella non si tirerà indietro, rispettando fino in fondo vincoli e regole del suo mandato. Attento, come ha detto nelle diciassette parole di cui sopra, «alle speranze degli italiani». Aiuterà la politica a realizzare questa fase. Sempre che la politica lo aiuti ad aiutarla. Buon lavoro Presidente.

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