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I tormenti di Alexis: adesso difficile rinegoziare il debito

La sinistra di Syriza e di Alexis Tsipras si presenta nettamente vincente dopo il responso delle urne in Grecia. È una notizia largamente attesa anche perché la vittoria è ottenuta sulla base di molte promesse e di tanti populismi. Si tratterà ora di vedere se il programma elettorale reggerà alla prova di governo. Perché certamente una cosa è dire che Atene non rispetterà più gli accordi con Unione Europea, Bce e Fondo Monetario (la cosiddetta Troika).

Altra cosa è poi dover andare dai rispettivi presidenti (Jean-Claude Juncker, Mario Draghi e Christine Lagarde) implorando nuovi finanziamenti perché altrimenti il nuovo governo non sarà nemmeno in grado di pagare gli stipendi degli statali. Né vale la minaccia (finora sempre rientrata) di uscire dall’euro: siamo curiosi di sapere quanti milioni di nuove dracme servirebbero per acquistare un barile di petrolio. Al momento siamo di fronte alla solita sinistra parolaia capace di promettere montagne ma in grado di partorire solo topolini.

Molto difficile che i creditori della Grecia accettino di rinnovare i finanziamenti in assenza di precisi impegni in tema di austerità e di rigore. Inaccettabile per i contribuenti tedeschi (Berlino è esposta per circa 80 miliardi con Atene) ma anche italiani (40 miliardi) o francesi. Atene non può chiedere altre indulgenze se non a fronte di un piano credibile di risanamento e di riduzione della spesa pubblica. In questo senso la presenza di un governo di sinistra può diventare la soluzione migliore. Rappresenta, infatti, la garanzia della tenuta sociale di fronte ai tagli che servono per finanziare gli investimenti.

Letto così, il voto di ieri assume una valenza diversa. Non la rivolta contro un’Europa diventata matrigna ma il grido di disperazione di un Paese che in sei anni ha perso un quarto del Pil, ha visto la disoccupazione volare al 25% e scomparire il ceto medio. Una popolazione affranta che chiede ai partner un aiuto come si conviene in una grande famiglia. In questo senso ben venga l’apertura di un tavolo comunitario: sia per rendere più sopportabile il peso del debito sia per attivare rapidamente il piano di investimenti da 315 miliardi annunciato da Juncker. Anche noi italiani (insieme a spagnoli, portoghesi e francesi) avremmo interesse a trovare una soluzione condivisa su questo terreno. Una trattativa da cui dovrebbe scaturire non il semplice salvagente per la Grecia, che servirebbe a poco, ma un nuovo destino per l’intera Europa.

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