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Con lo screening neonatale meno 90% di mortalità

ROMA. Una piccola goccia di sangue prelevata dal tallone del neonato nel primo o secondo giorno dalla nascita consente di individuare molte malattie e, in vari casi, salvare la vita di questi piccoli. È lo screening neonatale, ambito nel quale negli ultimi anni si sono fatti enormi passi avanti, tanto che, spiega il genetista pediatra Nicola Longo della Utah University negli Usa, «per alcune malattie la mortalità è stata ridotta di oltre il 90%».

Un programma di test decisivo, dunque, per la cura precoce di varie patologie ma che in Italia è ancora attuato a macchia di leopardo, con forti disparità tra le varie Regioni. «Nei primi anni Duemila - spiega Longo, direttore della Divisione di Genetica medica alla Utah Universiy di Salt Lake City, in Italia per tenere tre Letture, a Roma, Firenze e Padova, organizzate dalla Fondazione Sigma-Tau - lo screening neonatale si è esteso a più di 30 malattie metaboliche. Più di recente, i centri di ricerca Usa hanno aggiunto malattie come l'immunodeficienza combinata grave. L'identificazione precoce e il trattamento dei piccoli con tirosinemia, una malattia metabolica congenita, ad esempio, possono prevenire conseguenze epatiche, cancro e la necessità di un trapianto di fegato».

Lo screening neonatale, sottolinea, «consente di diagnosticare anche malattie endocrine, del sangue, immunodeficienze e malattie genetiche lisosomiali; si tratta di patologie che colpiscono circa 5 neonati per mille ma sono molto gravi; se diagnosticate e curate tempestivamente già dalla nascita, però, possono portare a miglioramenti enormi per la salute dei bambini. Molte di queste - precisa l'esperto - danno luogo ad un ritardo mentale ma, se diagnosticate subito, il ritardo può essere prevenuto completamente o molto migliorato, poichè abbiamo delle terapie efficaci». Oggi, rileva Longo, «con lo screening possiamo diagnosticare la maggior parte delle malattie per cui esiste un trattamento. L'obiettivo futuro è includere nei test un numero sempre maggiore di patologie, a partire da quelle neurologiche». E su questo fronte, la ricerca va avanti a grande velocità: «In media - afferma - riusciamo a sviluppare terapie per 1-2 nuove malattie l'anno, con il fine di includerle nei test. Al momento stiamo studiando una patologia che è una delle possibili cause dell'autismo, un difetto del metabolismo della creatina, e contiamo di includerla nei test nel giro di un paio d'anni». Lo screening non va però confuso con i test del dna fetale, dice Longo: «Questi consentono la diagnosi di malattie cromosomiche o legate a un gene specifico e con una storia familiare. Lo screening copre altre malattie, ed il neonato è di solito il primo ad esserne colpito poichè non c'è familiarità».

Ma se in Usa tale programma di test dal 2006 è applicato uniformemente in tutti gli Stati, coprendo la quasi totalità dei neonati, in Italia la situazione è molto diversa: 32 sono i centri specializzati per lo screening neonatale sul territorio ma ci sono venti diverse applicazioni regionali di questo servizio. Inoltre, solo una decina di centri è attrezzato per lo screening neonatale allargato, che permette di identificare alla nascita l'eventuale presenza di circa 20-40 malattie, in aggiunta alle 3 (fenilchetonuria, fibrosi cistica, ipotiroidismo) che da tempo vengono 'cercatè in ogni neonato. L'auspicio degli specialisti italiani è dunque che lo lo screening allargato venga esteso a tutta la popolazione, possibilmente con delle linee guida emanate dal Ministero della Salute.

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