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Ridet: «A Parigi colpito un simbolo della libertà d’espressione»

Per il corrispondente da Roma di “Le Monde” «in questi anni a sostenere i diritti civili dei musulmani è stato Charlie Hebdo»

«All'inizio, quando il mio giornale ha definito la strage di Parigi l'11 settembre della Francia, non ero molto d'accordo. Trovo sempre pericoloso fare paragoni. Ma, riflettendo, credo che quello sia stato davvero il nostro 11 settembre perché è stata colpita una parte dell'identità, della storia, della cultura del nostro Paese. Da noi, la satira è nata quasi tre secoli fa!».

Philippe Ridet, corrispondente del quotidiano «Le Monde» dall'Italia, è appena rientrato a Roma. In Francia ha «respirato» la paura con la quale i suoi connazionali, dal massacro del 7 gennaio, sono tornati a convivere: «Non è la prima volta - afferma Ridet - che la mia nazione è colpita da attentati, basti pensare a quelli del '95. Nel frattempo, però, era passata una generazione e i timori s'erano attenuati. La Francia si sentiva abbastanza sicura di sé, del suo modo di integrare gli immigrati. E riteneva che i propri valori di laicità, di libertà, potessero tenerla al riparo da queste forme di violenza».

Molti analisti ritengono che a Parigi i terroristi islamici, con l'assalto a «Charlie Hebdo», abbiano attaccato volutamente i valori fondanti dell'Occidente. Almeno dal punto di vista simbolico, un salto di qualità rispetto all'11 settembre?

«Non voglio parlare di scontro di civiltà, ma è evidente che il bersaglio è stato scelto apposta. La libertà d'espressione è un principio fondamentale per l'Occidente e, ancor di più, lo è per la Francia. Questo modo di fare satira, di fare giornalismo, è tipicamente nostro. Peraltro, se un giornale è stato in questi anni accanto alla comunità musulmana per sostenere i loro diritti civili, quello è stato proprio Charlie Hebdo».

Dopo l'assalto jihadista alla rivista satirica, s'è aperto un aspro dibattito sul «diritto alla bestemmia». Ma esiste davvero questo diritto?

«La bestemmia non è un reato nel codice francese e, quando molte associazioni musulmane portarono a processo lo ”Charlie” per avere pubblicato le vignette del giornale danese Jyllands-Posten, lo Charlie venne assolto. È un reato il razzismo, l'istigazione all'odio razziale. Non la bestemmia. Bisogna, poi, ricordare ancora una volta che quelle vignette non prendevano di mira le religioni, piuttosto i fondamentalisti. Non solo islamici, ma anche cattolici».

Chiudere le frontiere, applicare nel nostro Continente misure simili al «Patriot Act» varato negli Stati Uniti dopo gli attentati del 2001: sarebbe un errore?

«Soprattutto, sarebbe inutile. I fratelli Kouachi o Coulibaly (gli autori dei massacri a Parigi, ndr) sono nati in Francia. In questo momento, non so più dove sono i confini. Quei terroristi sono figli nostri. Hanno frequentato scuole e tifato per squadre di calcio francesi. Simbolicamente, poi, limitare le libertà civili rappresenterebbe un regalo fatto ai nostri nemici».

Marine Le Pen, la leader del partito dell'estrema destra francese «Front national», chiede persino il ripristino della pena di morte. Follie propagandistiche?

«L'abolizione della pena di morte in Francia nel 1981, dopo l'elezione di Francois Mitterand alla presidenza della Repubblica, fa ormai parte del fondo culturale di questo Paese. È stata una lunga lotta, come quella per l'aborto, ma adesso è nel nostro dna. In un momento di dolore così forte, Marine Le Pen non s'è messa certo dalla parte giusta. Attenderà adesso che passi l'emozione per tornare a cantare la sua piccola musica, ma in questa sequenza politica lei è stata sconfitta».

Stando a un rapporto Europol, in ambito comunitario il maggior numero di provvedimenti giudiziari per terrorismo è stato eseguito negli ultimi anni proprio nel suo Paese. Eppure non è bastato...

«Si stima che gli jihadisti in Francia siano circa 5 mila. Un sacco di gente. Non si può mettere un poliziotto dietro ogni persona e la Francia non si può trasformare in una grande prigione. Ricordiamoci, peraltro, che i Kouachi hanno incontrato Coulibaly proprio in galera!».

Politiche di integrazione sotto accusa, non solo nelle «banlieu». Necessariamente colpa dei nostri governi, o esiste anche un «rifiuto identitario» opposto da molti musulmani?

«Bella domanda. La Francia è stata all'avanguardia e ha fatto di tutto per integrare, soprattutto alla fine degli anni Sessanta dopo la guerra di Algeria. Questo modello ha funzionato fino a dieci, quindici anni fa. Poi, ha cominciato a pesare la crisi economica e il famoso tetto di vetro per il quale non riesce più la conquista di migliori posti di lavoro agli immigrati di seconda e terza generazione. L'ascensore sociale non ha funzionato per molti di loro. Penso soprattutto ai ragazzi, mentre le ragazze hanno più volontà di entrare in questo sistema. Ad ogni modo, stiamo parlando di qualche migliaia di persone su una comunità di 6 milioni di musulmani. Vogliamo bocciare tutto, per uno 0,1 per cento?».

Nel mondo, decine di gruppi del terrorismo islamico hanno ingaggiato tra loro una sorta di gara dell'orrore. Noi restiamo a guardare?

«Non penso che sia un fenomeno incontrollabile. La Francia sta facendo la sua parte in Mali, ho letto che l'Italia è pronta a intervenire in Libia. È compito di tutti non invadere quei Paesi, come abbiamo fatto, ma aiutare le forze democratiche locali a combattere i fondamentalismi in casa propria».

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