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Sicilia, il dipendente regionale è sempre più fisso

L’ultima foglia di fico si chiama interpello, un mostro che evita i trasferimenti

La si potrebbe definire la classica rondine di primavera che, quantomeno, «promette» un'estate prossima; ci riferiamo alle recenti misure varate dell'assessore all'agricoltura, Antonino Caleca, che è intervenuto sui costi di struttura dei consorzi di bonifica con alcuni provvedimenti che potrebbero fare «risparmiare» alle casse regionali fino a 200 mila euro all'anno; non moltissimo in realtà, ma se non altro la promessa di un cambio di verso. Ben dissimile invece la gestione del personale regionale che continua a restare estranea ad ogni logica, sia pure minimale, di efficienza.

Da mesi, importanti dipartimenti regionali vengono rallentati da macroscopici vuoti di personale, con effetti che si scaricano anche sul resto dell'amministrazione. È il caso della Formazione, come dell'Economia. Non c'è politico regionale che non solleciti una profonda rivisitazione delle regole della Formazione o che non invochi una svolta nelle politiche di bilancio. Ma non c'è uno deciso ad andare oltre la mera enunciazione di principio, per aggredire i nodi procedurali che stanno soffocando la Regione e, con essa, la Sicilia.

Si chiama «interpello» l'ultima foglia di fico di una politica incapace di rimuovere il sistema di privilegi in favore (ma è così?) del personale regionale. Si tratta della procedura che consente di spostare un dipendente da un ufficio all'altro solo con l'assenso dello stesso impiegato. È il mostro che impedisce alla Regione di mettere in atto la prima, banale, più elementare misura di gestione dei dipendenti: utilizzarli dove serve. Ma come è possibile che dopo anni di denunce, dopo anni di pressing da parte della Corte dei conti, l'assegnazione di un impiegato regionale nelle postazioni scoperte continui a restare una chimera?

Si badi bene, non stiamo parlando di sedi disagiate; stiamo parlando dell'ipotesi di cambiare scrivania nel raggio, al massimo, di quattro o cinque chilometri. Eppure l'impiegato «interpellato» non assicura la propria disponibilità e tutto resta bloccato. E dire che la procedura dell'interpello è stata cancellata dal novero delle norme regionali con la legge numero 26, votata dall'Ars nel maggio del 2012. Ma che Regione è questa, dove neppure le riforme votate dal Parlamento trovano applicazione? E che cosa possiamo aspettarci allora per le riforme che non sono neanche in cantiere?

Dopo la legge 26/2012 è sufficiente un decreto del presidente della Regione per attivare la procedura di mobilità interna secondo le necessità dell'amministrazione. Ma, due anni dopo, non si è mossa una foglia. Che cosa può mai determinare una omissione così plateale? Resistenze sindacali, connivenze politiche, comportamenti volutamente omissivi e quindi conservativi dello status quo? Domande senza risposte, voci nel vento dell'inerzia.

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