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La corsa al Colle può trasformarsi in un campo minato per Renzi

Il premier deve fare i conti col suo partito, i mugugni di Fi e l’inaffidabilità di Grillo

Quando si avvicinano le elezioni per il presidente della Repubblica, il segretario del partito di maggioranza rischia la pelle. Deve svolgere infatti l’ingrato compito di artificiere e capita che possa saltare in aria. Nella storia italiana è accaduto due volte. Nel ’92 quando segretario della Dc era Forlani e fu colpito dai cecchini di Andreotti, abbattuto a sua volta dalle bombe di Capaci. E nel 2013 quando dopo la caduta di Franco Marini, Bersani non riuscì a portare al Quirinale con una maggioranza diversa Romano Prodi.

Senza conseguenze così devastanti, dal ’48 a oggi tutti i candidati ufficiali sono stati sconfitti con l’eccezione di Cossiga (1985), Ciampi (1999) e solo in parte Segni (1962) che fu eletto per il rotto della cuffia con i voti determinanti del Msi e una memorabile spaccatura nella Dc. Lo stesso Ciampi, frutto di un patto tra Veltroni e Berlusconi/Fini, bruciò solo all’ultimo istante Rosetta Jervolino, Nicola Mancino (il vero candidato popolare), Franco Marini e Massimo D’Alema.
Pur essendo giovane, Renzi queste cose le conosce benissimo e vorrebbe che il suo partito approvasse per tempo il candidato (o la rosa di candidati) da proporre alle altre forze politiche. Ma sa che questo non lo garantisce. Prodi non fu acclamato e pugnalato con una successione così rapida da ricordare il Cesare delle Idi e Marzo?

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