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Tra Usa e Cuba è disgelo: Obama e Raul Castro si sono parlati al telefono, scambio di prigionieri

Prevista anche l'apertuta dell'ambasciata Usa a L'Avana nei prossimi mesi

WASHINGTON. «Todos somos americanos», siamo tutti americani. Barack Obama, nell'annunciare la storica svolta delle relazioni con Cuba, tocca le corde più profonde dei sentimenti dei tantissimi cubani e latinoamericani che vivono e lavorano negli Stati Uniti.

Il presidente Usa è consapevole che ristabilire i rapporti con L'Avana, dopo oltre 50 anni di gelo, può davvero rappresentare la sua grande eredità in politica estera. Ciò per cui passerà alla storia. Affermando finalmente quella leadership che troppo spesso gli viene negata sullo scacchiere internazionale. Abbattendo l'ultimo muro di una stagione lontana come quella della guerra fredda.

E quel «Todos somos americanos» non può non rimandare alla celebre frase «Ich bin ein Berliner», io sono un berlinese, pronunciata nel 1963 a due passi dalla porta di Brandeburgo da John Fitzgerald Kennedy, l'ex presidente a cui Obama è stato spesso (a torto o a ragione) accostato. Ma se ai tempi di Jfk si viveva in un'Europa ed un mondo spaccati in due, adesso la ripresa del dialogo tra Washington e L'Avana può aprire davvero, e nel giro di pochi mesi (se non di settimane), «un nuovo corso». Può aprire scenari - sottolineano molti osservatori - in grado di ridisegnare la 'mappa politicà dell'America Latina. E non solo.

Obama ha perseguito con forza e determinazione la riapertura del dialogo con L'Avana, fin dal suo arrivo alla Casa Bianca, sostenendo come la politica dell'embargo, il famigerato 'Bloqueò, fosse da rivedere. Ma di fatto nel corso dei quattro anni del suo primo mandato la svolta su Cuba è sembrata l'ennesima promessa mancata, l'ennesimo sogno rimasto nel cassetto. E in America ogni riferimento all'isola caraibica è rimasto sostanzialmente legato al famigerato campo di detenzione di Guantanamo.

Poi è arrivato il gesto inatteso, di quelli che saranno ricordati sui libri scolastici: la stretta di mano tra Obama e Raul Castro nel dicembre 2013, alla cerimonia per la morte di Nelson Mandela. Quel gesto era il segnale atteso da troppo tempo, il via libera alla ripresa del dialogo tra due Paesi più volte arrivati sull'orlo di una crisi di nervi. Così nell'ultimo anno e mezzo Obama - sempre più in difficoltà sull'Iran, sulla questione arabo-palestinese e sulla lotta all'Isis - ha ordinato ai suoi di accelerare sul fronte cubano. E, complice l'arrivo in Vaticano di Papa Francesco, gli uomini del presidente hanno lavorato fianco a fianco, segretamente, con gli emissari del regime dei fratelli Castro.

Ma in pochi immaginavano che in così poco tempo Obama potesse arrivare ad annunciare in diretta tv la possibile fine dell'embargo. Ancora una volta sarà il segretario di Stato John Kerry a dover tirare le somme dei passi avanti fatti fino ad oggi. Mentre la destra americana (vedi il senatore di origini cubane Marco Rubio, possibile candidato presidenziale) attacca, e parla di 'concessioni in cambio di nullà e di 'pericoloso precedente. Ma è difficile che ciò basterà per fermare la corsa di Obama verso la storia.

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