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Le trivelle degli scontri in Sicilia

Ardizzone apre un braccio di ferro istituzionale col Parlamento nazionale: «Non sono contro le trivellazioni. Ma prima si incardini in Senato il disegno di legge voto per riservare le imposte di produzione alla Sicilia e non allo Stato»

PALERMO. «Crocetta ha firmato accordi capestro, che possono impegnare solo lui. Apprendiamo dai giornali che dalle trivellazioni prevede di incassare 500 milioni ma sono ben poca cosa rispetto alle imposte che cediamo allo Stato.

È arrivato il momento di affrontare la questione delle norme dello Statuto che regolano i rapporti fiscali con le imprese che investono in Sicilia»: Giovanni Ardizzone, presidente dell’Ars, anticipa che il Parlamento siciliano proverà a modificare gli accordi che il governo ha preso con Eni e altre multinazionali.


E, soprattutto, Ardizzone apre un braccio di ferro istituzionale col Parlamento nazionale: «Io non sono contro le trivellazioni. Ma prima si incardini in Senato il disegno di legge voto che modifica l’articolo 36 dello Statuto per riservare le imposte di produzione alla Sicilia e non allo Stato. E si attui anche l’articolo 37 che assicura alla Regione le imposte prodotte dalle aziende che lavorano qui ma hanno sede legale altrove. Solo dopo possiamo iniziare a trattare sul se, come e quando si debbano autorizzare le trivellazioni».


Il caso nasce dai protocolli con cui Crocetta ha avviato l’iter per autorizzare nuove ricerche ed estrazioni petrolifere in mare e sulla terraferma. Eni e altre multinazionali sono pronte a investire 5 miliardi che creerebbero nel quinquennio circa 6.500 nuovi posti e permetterebbero - secondo il governo - di rilanciare stabilimenti come quelli di Gela, Priolo e Milazzo.

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