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Margelletti: «Contro il califfato: più elicotteri apache e meno bombardieri»

Il presidente del Cesi: «Decisivi per le sorti di questo conflitto non i volontari stranieri ma le tribù irachene di Anbar»

È già cambiata la strategia statunitense nella guerra al «Califfato dell’Orrore». In Iraq raddoppiano i soldati sul campo, perchè i soli bombardamenti aerei contro l’esercito dei tagliagole non sembrano bastare: «Inevitabile che qualcosa cambi — afferma Andrea Margelletti, il presidente del Centro studi internazionali (Cesi) —. È sbagliato ritenere che questo conflitto, come altri, possa restare cristallizzato nelle scelte di intervento. Queste, infatti, cambiano a seconda delle condizioni». Da Margelletti, poi, un’altra avvertenza: «Non si pensi che la vittoria arriverà in tempi brevi. L’Isis controlla un territorio enorme (dalla periferia di Aleppo in Siria alla città irachena di Falluja per un’estensione di 90 mila chilometri quadrati, quasi quanto l’Ungheria, ndr) e non sarà facile riconquistarlo».

Stando alle fonti ufficiali, gli Stati Uniti hanno deciso di inviare in Iraq mille 500 militari in più con l’unico scopo di «addestrare e istruire le truppe locali». Sarà davvero così?

«In realtà, l’esercito americano compie anche azioni elicotteristiche sul territorio iracheno. Mi riferisco, soprattutto, a operazioni con mezzi Apache da combattimento, che hanno munizionamento di precisione in grado di colpire esattamente gli obiettivi e limitare i danni collaterali alle realtà tribali. Ad ogni modo, Obama si rende conto che servono più uomini sul terreno ma sa pure che questi devono essere iracheni. Vanno, però, addestrati perchè il loro apporto sia efficace. E a ciò serve, innanzitutto, l’attuale incremento del contingente Usa».

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