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10 donne italiane, quei 42 chilometri tutti di corsa contro il cancro

«Se si è avuta una malattia grave come il tumore, la corsa riduce drasticamente il rischio di effetti collaterali e ricadute»

NEW YORK. Di corsa, a New York, per raggiungere il traguardo più importante: il senso di (ri)vincita della vita sulla morte. Alla 44ª edizione della maratona più amata e partecipata del mondo, c'erano anche loro: dieci italiane (sette milanesi e tre bresciane) che, negli anni passati (o ancora oggi), hanno battuto il cancro, tra chemio e mastectomie. Corrono per il progetto NOTHINGstopsPINK (Niente ferma le donne, rappresentate dal colore rosa), ideato dalla Fondazione di Umberto Veronesi e realizzato insieme con Rosa & Associati di Gabriele Rosa, preparatore atletico tra i più noti d'Italia. Ovviamente, Angela Restelli, Elena Rota, Marina De Bonis, Monica Covezzi, Georgiana Mazzelli, Nicoletta Caraceni, Gabriella Doneda, Emanuela Agostino e Daniela Pasqualetto non sono «born2run» ovvero «nate per correre» ma hanno raccolto la sfida del professor Veronesi e si sono allenate per poter partecipare alla 42 km più famosa del mondo insieme con più di 50000 runners da tutto il mondo.

Per le dieci italiane della Fondazione NOTHINGstopsPINK questa è stata la corsa più importante del mondo. Anzi, una passeggiata di salute, in senso lato. «Fare attività fisica migliora la salute di chiunque», dice Gabriele Rosa, cardiologo e medico dello sport, «e se si è avuta una malattia grave come il tumore la corsa riduce drasticamente il rischio di effetti collaterali e ricadute. È per questo che, quando la Fondazione Veronesi mi ha contattato, ho aderito immediatamente».

Per trovare le atlete da mandare alla maratona è stato fatto un vero e proprio bando sul web a cui hanno aderito subito cento donne da tutta Italia che avevano subito l'asportazione del seno. Poi, un ulteriore scrematura ha fatto scendere il numero a venticinque che si sono allenate regolarmente e, alla fine, solo dieci di loro sono state scelte per partecipare alla maratona alla 44ª maratona newyorchese. Alcune di loro erano già appassionate alla corsa prima della malattia, altre hanno iniziato dopo: nessuna, infatti, è runner professionista.

Ed ecco perché la loro avventura d'oltreoceano è importante per il messaggio che lancia. «Come dice il Dalai Lama», continua Chiara Segré, supervisore scientifico della Fondazione Veronesi, «attraverso l'allenamento possiamo cambiare e trasformare noi stessi. Ed è vero che, anche in questo caso, perché l'attività fisica dosata, sia durante la terapia che dopo, può prevenire la perdita del tono muscolare, alleviare le fatiche, prevenire le linfopatie, tenere sotto controllo il peso, ridurre il dolore articolare conseguenza delle terapie con antiestrogeni. Gli studi, infatti, mostrano un calo di ben il 53% della mortalità in chi pratica sport rispetto a chi è sedentario. Ma, soprattutto, è un toccasana per combattere gli stati di ansia e la depressione».

Le nostre donne coraggio hanno accettato la sfida e domenica scorsa, dopo l'inno nazionale americano e un colpo di cannone, tra misure di sicurezza eccezionali (FBI compresa), in una città più blindata che mai, hanno corso una gara che non si è fermata al traguardo della maratona ma è andata oltre.
Istituita nel 1970 da Fred Lebow nel 1970, la maratona di New York City raccolse, alla sua prima edizione, solo centoventisette partecipanti che fecero più giri intorno al park drive di Central Park. Fu solo nel 1976 che la gara venne allargata a tutti e cinque i quartieri di New York per il bicentenario dell'indipendenza americana. Il percorso lungo 42,195 chilometri parte da Staten Island. Superando il ponte di Verrazzano, i corridori arrivano a Brooklyn e, passando nel quartiere di Williamsburg, arrivano nel Queens. Da qui, attraversano il ponte Queensboro, dove sotto scorre l'East River, per poi arrivare lungo la prima avenue a Manhattan fino al Bronx. Quindi, fanno ritorno a Manhattan dove passano da Harlem e, restando sulla Fifth Avenue, costeggiano il Central Park dove, poi, svoltano su Columbus Circle dove, nel parco, li attende il traguardo.

I newyorchesi amano la loro maratona e mai ci rinuncerebbero. Tanto che si decise di correre anche nel 2001, neanche due mesi dopo l'attentato alle Torri Gemelle: impossibile resistere alla musica della Bishop Loughlin High School Band che, a nove miglia dallo «start» suona, con gli ottoni, la colonna sonora del film Rocky. Oggi, la statua di Lebow troneggia all'ingresso di Central Park dalla 90 St. East Side: lo rappresenta in piedi mentre, orologio alla mano, controlla il tempo di immaginari corridori. Nell'occasione della maratona, invece, la scultura viene spostata sulla linea del traguardo della gara. Leggenda narra che, alla vigilia, toccare il culo della statua porti bene a chi partecipa alla gara.

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