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Polito: «Una buona finanziaria, ma sui tagli Renzi faccia chiarezza»

Per il giornalista «la logica del taglio lineare va cambiata: riduce gli sprechi ma anche le spese utili, così non può funzionare»

«È una finanziaria che va sicuramente nella direzione giusta, ma che ha preso a prestito i soldi per comprare la benzina». Antonio Polito, editorialista del «Corriere della Sera», ricorre a questa immagine per definire la manovra di bilancio per il 2015 varata dal governo Renzi.

Un giudizio un po' amaro. In particolare che cosa non le piace?

«Se permettete vorrei girare la domanda. Vorrei cominciare da quello che trovo di positivo in questa manovra. Già mi accusano di essere pregiudizialmente ostile a Renzi. Siccome non è assolutamente vero vorrei cominciare proprio dalle cose che vanno bene. Sono molte e sono importanti».

Quali sono?

«C'è il taglio delle tasse, soprattutto quelle sul lavoro, che mostra grande coraggio. Solo Prodi nel 1997 aveva fatto un'operazione di questa ampiezza. Ora Renzi ha deciso di agire sull'Irap che, ai fini della ripresa economica, è ancora più importante del bonus degli ottanta euro che fortunatamente è stato confermato. Va bene anche lo stanziamento per finanziare il contratto a tutele crescenti. Nel 2002 avevo fondato il "Riformista" proprio per dar voce al dissenso verso le rigidità dei sindacati e del gruppo dirigente del partito. Ora finalmente quella lontana ambizione diventa legge».

Pagato il tributo al buonismo verso il presidente del Consiglio andiamo all'aspetto negativo. Che cosa la convince di meno?

«La debolezza delle coperture. Nella finanziaria ci sono undici miliardi di uscite fatte dichiaratamente in deficit. Non a caso torneremo in prossimità del 3% rispetto al Pil. Insomma sono soldi che ci facciamo prestare e dobbiamo sperare che i mercati ce li diano senza fare troppe storie».

Per la verità non sembra che vada così liscia. Basta guardare quanto è successo fra mercoledì e giovedì. Lady spread riprenderà la sua danza macabra?

«Non lo so. Speriamo di no ma sicuramente il problema esiste, così come esiste il problema dei 3,8 miliardi di evasione fiscale che al momento sono solo delle buone intenzioni».

A Bruxelles lasceranno correre?

«Non credo proprio. Tradizionalmente le burocrazie europee tendono a non conteggiare questa voce nel calcolo delle entrate. Giustamente la considerano poco attendibile come fonte di entrata. Su questo punto immagino che Renzi e Padoan dovranno aprire una trattativa molto serrata e non sarà facile».

E poi c'è il capitolo spending rewiew. Forse il più debole di tutti, non trova?

«È sicuramente il più confuso. Come al solito il governo non ha preso la strada più diretta ma il tortuoso sentiero di sempre. La strada diretta è quella del taglio netto: tolgo di mezzo un ufficio, accorpo un po' di corpi di polizia, impongo ai Comuni di cancellare un po' di municipalizzate. Renzi aveva annunciato questi interventi ma, al momento della stesura dei testi, ha cambiato idea e ha fatto il solito taglio lineare: sei miliardi ai ministeri, fra sette e otto a Comuni e Regioni che infatti hanno protestato».

Che lo facciano Maroni o Zaia ci sta. Che si aggiunga Chiamparino un po' meno. Che cosa ne pensa?

«Penso che la logica dei tagli lineari va cambiata. Riduce alla stessa maniera gli sprechi e le spese utili. E' chiaro che così non può funzionare. Chiamparino non è Fassina e fin qui non ha mai fatto mancare l'appoggio a Renzi. Se protesta avrà anche qualche buona ragione».

Come finirà a suo parere?

«Spero che alla fine troveranno un punto di intesa. Fra l'altro nelle ultime ore mi sembra che i toni siano diventati meno aspri».

Tranne che con i sindacati. La Cgil che non fa un passo indietro. Dove vuole arrivare Susanna Camusso?

«Sta combattendo una battaglia identitaria. Si rivolge al suo popolo che è formato da pensionati, dipendenti pubblici e lavoratori garantiti. Li vuole rassicurare che per loro non cambierà niente».

In questa operazione trova la sponda nella sinistra del partito. Ci sarà la scissione?

«Non penso proprio. Non è pensabile che i dissidenti facciano cadere il governo né la rottura dell'unità. Da questo punto di vista il Pd mi ricorda la vecchia Dc. I grandi capi fra di loro litigavano ogni giorno. Però restavano sempre insieme. Sapevano bene che fuori dal partito avrebbero finito per non contare più nulla. Il potere è un grande collante».

Insomma Renzi non ha opposizione.

«Assolutamente nessuna e si vede. Va avanti per la sua strada sapendo bene che alla fine il Parlamento, pur fra mille mal di pancia, farà quello che dice lui. La scommessa che ha giocato è molto semplice. Ha fatto una finanziaria a debito sperando nella ripresa. Ad aprile tirerà le somme. Se davvero l'economia si sarà rimessa sulla via dello sviluppo tutto andrà a posto e sarà possibile onorare le promesse fatte oggi. Altrimenti chiederà lo scioglimento della Camere e andrà al voto chiedendo un'investitura molto forte per proseguire sulla strada che ha segnato».

E Berlusconi in tutto questo?

«Berlusconi farà lo spettatore. Ormai è uno sconfitto che non ha più nulla da chiedere. La situazione attuale gli consente di restare in partita. Sa bene che i suoi voti sono fondamentali per le riforme istituzionali e sta giocando su questo tavolo. Soprattutto vuole essere decisivo nelle elezioni del prossimo capo dello Stato per evitare che al Quirinale arrivi una personalità a lui ostile. Ha sempre considerato il partito come una semplice estensione della sua personalità. Il centrodestra ormai è ridotto al 15%? Non è più un suo problema».

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