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Suzuka, i limiti della tecnologia e la fatalità sempre in agguato

La Formula Uno si è impegnata per migliorare la sicurezza, ma qualcosa nell’incidente di Bianchi non ha funzionato

Ricordate il computer Hal di «2001 Odissea nello spazio»? Va in crisi quando si interroga sul conflitto tra la sua programmazione reticente sugli scopi della missione e la necessità di salvare gli astronauti. Insomma fallisce quando diventa più simile all'uomo. Sulla pista di Suzuka il fattore umano ha messo in crisi il campionato automobilistico con i bolidi più sicuri di tutti i tempi. Perché si può costruire un’auto con un abitacolo quasi indistruttibile, messo a dura prova nei crash test, e poi vedere un pilota che rischia la morte in circuito di Formula 1 perché finisce contro un trattore come se guidasse in aperta campagna. L'ultima vittima in gara in F1 è stato il grande Ayrton Senna nel 1994 a Imola. Quel giorno, era l'1 maggio, il brasiliano correva con una bandiera austriaca nell'abitacolo: era pronto a sventolarla all'arrivo per ricordare Roland Ratzenberger, morto il giorno prima in un incidente. La rottura del piantone dello sterzo di Senna fu un simbolo tragico di corse giunte al limite della rottura delle auto.

Venti anni sono passati da allora e la Formula 1 ha ridotto sempre i più i rischi delle corse. «Sono un sopravvissuto» racconta sempre il buon Nino Vaccarella ricordando le storie di tanti suoi colleghi e amici scomparsi negli anni Sessanta. Fino al 1980 solo in Formula 1 sono morti 37 piloti, ai quali bisogna aggiungere i tanti campioni periti in incidenti nelle altre gare, spesso nei circuiti stradali. Oggi in F1 non è più possibile morire come Gilles Villeneuve a Zolder perché la vettura, per la fine dell'effetto suolo, vola in cielo come un missile appena perde aderenza oppure bruciati in pista nel rogo dell'auto come il povero Lorenzo Baldini a Montecarlo. Dopo Senna la Formula 1 si è impegnata tanto nella sicurezza da ritenersi invulnerabile.

L'ultimo caso quest'anno nel gran premio del Bahrain con la Sauber di Gutierrez che rimbalza sulla Lotus di Maldonado, si ribalta in cielo sbattendo rovesciata sull'asfalto: pilota illeso. Come nelle corse con la playstation. L'errore umano, unito alla fatalità, restava, invece, in agguato. Con decine di telecamere e in un mondo in cui su facebook e youtube vediamo tutto di tutti colpisce che di questo incidente di Suzuka non esistano immagini. Dall'uscita di pista di Sutil si passa alla Marussia di Bianchi incastrata sotto la gru. Tutto è stato previsto meno che una vettura di F1, di altezza molto bassa, si trovi a infilarsi sotto una gru e finire tra le gomme immense su un muro d'acciaio, soprattutto, come pare sia successo, se l'impatto è laterale, in un punto dove il pilota è meno difeso. Così la Formula 1 si crede talmente invulnerabile da correre con qualsiasi tempo, sotto la pioggia incessante, anche quando è previsto, come ieri a Suzuka, l'arrivo di un tifone. Tanto da far arrabbiare Felipe Massa, che ha parlato di una gara da fermare alcuni giri prima. Vetture incontrollabili che si accumulano, nello stesso punto: succede alla curva numero 7 a Sutil ma la corsa non si ferma nonostante una gru in pista. Si chiama aquaplaning, ovvero, per la grande quantità di pioggia, ruota e strada non sono più in contatto e la vettura diventa incontrollabile. Sarà l'inchiesta a stabilire se hanno sbagliato i commissari di gara o fino a che punto l'intervento della gru non abbia seguito le norme di sicurezza.

La gru avrebbe dovuto muoversi protetta dalla Sauber di Sutil e poi sparire dietro le transenne. Il buon senso dice che la corsa andava subito fermata. Qualcosa non ha funzionato, quel che è successo non è frutto solo del caso. Il grande Michael Schumacher, dopo aver disputato trecento e più gran premi, è finito in gravi condizioni per un incidente sugli sci, sbattendo la testa contro una roccia. Qualcosa di simile è accaduto a Bianchi, soltanto che una roccia è normale esista in un fuoripista tra le montagne ma non in un circuito costruito per la Formula 1. Questo trattore in pista è come l'iceberg che affonda il Titanic, ritenuto cento anni fa «unsinkable», ovvero inaffondabile, con i suoi sedici compartimenti stagni e il doppio fondo della chiglia. Un iceberg ieri prodotto da un errore umano. L'inchiesta chiarisca subito i fatti, l'incidente è successo davanti a migliaia di persone. Solo dalla verità, dall'ammissione di errore e dalle precauzioni per non ripeterlo, la Formula 1 potrà ripartire. Per rispetto a Jules Bianchi e non per chiamarle insecurity car.

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