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La Catalogna vota per l'indipendenza il 9 novembre
Madrid: "Il referendum non si farà"

Lunedì il consiglio dei ministri in seduta straordinaria approverà l'impugnazione davanti alla Corte costituzionale, che avrà l'effetto di sospendere automaticamente la convocazione del referendum. Quest'ultimo, sebbene solo consultivo deve avere l'autorizzazione del governo e del Senato

MADRID. Nella solenne cornice di Palazzo San Jaume, sede del governo catalano, il presidente Artur Mas ha firmato oggi il decreto per la convocazione ufficiale del referendum indipendentista in Catalogna il 9 novembre, lanciando il guanto di sfida a Madrid. Ma il governo centrale, infuriato, assicura che quel voto non si terrà.  «È incostituzionale», ha ripetuto la vicepremier Soraya Sanz de Santamaria in assenza del presidente Mariano Rajoy, che sta rientrando da una missione in Cina. «Senza legge non c'è democrazia e nessun governo è al di sopra della legge e della volontà sovrana, che appartiene al popolo spagnolo», ha ammonito la numero due del governo.  Lunedì il consiglio dei ministri in seduta straordinaria approverà l'impugnazione davanti alla Corte costituzionale, che avrà l'effetto di sospendere automaticamente la convocazione del referendum. Quest'ultimo, sebbene solo consultivo, non è previsto dalla Costituzione spagnola senza autorizzazione del governo e del Senato.

«La Catalogna vuole parlare, vuole essere ascoltata e vuole votare», ha detto Mas in una dichiarazione istituzionale subito dopo la firma del decreto, affiancato dai rappresentanti dei partiti a favore del referendum. Il 19 settembre, il giorno del 'nò della Scozia alla secessione, il Parlamento catalano ha approvato la legge di convocazione della consultazione con 106 voti a favore e 28 contrari. Il leader di Ciu si è detto «disponibile a trattare fino all'ultimo minuto» con Madrid «le condizioni per rendere possibile il referendum».

«Ma non siamo disposti a cadere nell'immobilismo sotto le spoglie della legalità», ha aggiunto. E il decreto, a parte l'indicazione della data del 9 novembre e del doppio quesito sull'indipendenza da sottoporre ai catalani, stabilisce che l'obiettivo è «conoscere l'opinione delle persone chiamate a partecipare sul futuro politico della Catalogna, perchè la Generalitat possa esercitare con piena cognizione di causa l'iniziativa legale, politica e istituzionale che le corrisponde». Un tentativo di ancorare il voto all'inizio di un processo di riforma costituzionale.

Il decreto fissa i requisiti per il voto - i catalani superiori a 16 anni, anche residenti all'estero, e gli stranieri residenti da almeno un anno in Catalogna, se cittadini Ue, da almeno tre anni, se extracomunitari - e dà mandato al governo di avviare «in maniera immediata tutte le iniziative» perchè si possa votare. La Generalitat ha già attivato una pagina web con le informazioni per il voto.

«La sospensione della legge di consultazione e del decreto ne interrompe tutti gli effetti», ha spiegato Soraya Sanz de Santamaria, nel «deplorare profondamente la decisione di Mas». Anche per i portavoce al Congresso dei partiti 'costituzionalistì, Psoe, PP, UPyD e Ciutadans, il referendum «è illegale e non potrà svolgersi» e il braccio di ferro di Mas non fa che «dividere i catalani».  Il leader di CiU non ha chiarito cosa farà se Madrid blocca la votazione. Ovvero se, sotto la forte pressione degli alleati di Esquerra Repubblicana de Catalunya, consumerà fino in fondo lo strappo, andando comunque al voto. Un'ipotesi questa esclusa al momento da gran parte degli analisti. Oppure se rispetterà il 'verdettò e convocherà elezioni anticipate, con una prevedibile vittoria plebiscitaria a favore del fronte indipendentista, che ha già annunciato la mobilitazione di piazza se la Corte costituzionale bloccherà la consultazione.

«Mas si è messo nei guai», è stato il commento del premier Mariano Rajoy. Tuttavia, un ipotetico commissariamento della regione da parte del governo centrale, pur previsto dall'articolo 155 della Costituzione, o un'incriminazione di Artu Mas per insubordinazione, punita dal Codice penale con il carcere, paventata nei giorni scorsi dal Procuratore generale dello Stato, Eduardo Torre Dulces, viene vista da molti osservatori, a Barcellona come a Madrid, come «equivalente a mandare i tank in Catalogna».

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