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La Siria apre agli Usa: si hai raid aerei sul territorio "ma col nostro coordinamento"

BEIRUT. La minaccia jihadista su Siria e Iraq fa apparire possibili alleanze che fino a un anno fa sembravano impensabili. Damasco fa sapere di potere accettare anche operazioni militari americane e britanniche entro i suoi confini per fermare i miliziani dello Stato islamico (Isis), anche se solo con il «pieno coordinamento con il governo siriano». Mentre l'Onu accusa l'Isis di compiere una «pulizia etnica e religiosa» in Iraq.
In Siria i jihadisti sono galvanizzati dall'ultimo successo ottenuto ieri con la conquista della base di Al Tabqa, l'ultima roccaforte lealista nella provincia settentrionale di Raqqa. Una situazione che ha indotto il vescovo caldeo di Aleppo e presidente di Caritas Siria, mons. Antoine Audo, ad invocare l'intervento di «una forza internazionale di pace», come  avevano fatto altri pastori della Chiesa in Iraq nelle scorse settimane. Mentre Papa Francesco è tornato ad invitare alla preghiera «per la fine della violenza insensata» in un messaggio inviato ad una messa di suffragio per il giornalista americano James Foley, ucciso in Siria dai suoi sequestratori dello Stato islamico.
Mentre a Washington ci si interroga sull'opportunità di estendere alla Siria gli attacchi aerei contro le postazioni dell'Isis, il ministro degli Esteri di Damasco, Walid al Muallim, non si è detto contrario, ma ha ammonito che ciò dovrà avvenire nell'ambito di un'azione coordinata con il governo siriano, altrimenti si tratterebbe di una «aggressione» alla Siria. «Se ci fosse stato un coordinamento» di questo genere, ha aggiunto Muallim, «non sarebbe fallita» l'operazione tentata dalle forze speciali Usa per liberare Foley, prima che la sua prigionia si concludesse tragicamente.
Anche Mosca, grande alleato del regime del presidente Bashar al Assad, ha messo in guardia gli Usa. Se vogliono combattere lo Stato islamico, ha detto il ministro degli Esteri  Serghiei Lavrov, lo devono fare «in collaborazione con i legittimi governi».
Il Qatar, intanto, sospettato da più parti di sostenere confinanziamenti e armi le milizie dell'Isis, ha respinto le accuse. Il Paese del Golfo «non sostiene in alcun modo gruppi di estremisti», ha scritto il ministro degli Esteri dell'emirato mediorientale, Chaled al Attijah, in un intervento sul quotidiano tedesco Handelsblatt.
Da Ginevra intanto l'alto commissario dell'Onu per i diritti umani, Navi Pillay, ha lanciato un nuovo allarme per quella che ha definito la «pulizia etnica e religiosa» ad opera dell'Isis
in Iraq ed ha chiesto di giudicare i responsabili di eventuali crimini contro l'umanità. «Gravi e orribili violazioni dei diritti umani sono compiute ogni giorno», ha aggiunto la Pillay, affermando che lo Stato islamico e gruppi armati collegati «prendono di mira sistematicamente uomini, donne e bambini in base alla loro etnia, fede o appartenenza settaria».
Sul terreno, le milizie curde dei Peshmerga sono riuscite a riprendere tre villaggi nella provincia di Diyala, a nord-est di Baghdad, grazie all'appoggio dell'aviazione irachena.  Mentre hanno respinto due attacchi alla città di Tuz Khurmatu, 175 chilometri a nord della capitale. Ma a preoccupare in queste ore è il pericolo che il Paese torni a sprofondare in una guerra interconfessionale tra sciiti e sunniti dopo che, venerdì, un attacco compiuto da miliziani sciiti contro una moschea sunnita nella provincia di Diyala ha provocato una settantina di morti.
Oggi 11 persone sono state uccise e 34 ferite in un attentato suicida contro una moschea sunnita di Baghdad. Mentre due autobomba sono esplose nella città sciita di Karbala, 110 chilometri a sud di Baghdad.

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