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Riforme, primo sì al ”Senato dei 100”

ROMA. L'ultimo miglio è compiuto: la riforma costituzionale è a un passo dal via libera in prima lettura. Domani mattina nell'Aula di Palazzo Madama con il voto finale del ddl Boschi i senatori diranno sì alla fine del bicameralismo perfetto e alla nascita del Senato, non elettivo, dei cento. Questa sera, dopo due settimane di sedute fiume e al termine di una giornata scandita dalle votazioni a raffica e dalle proteste dei senatori grillini, è stato completato il voto dei 40 articoli del testo. E sono stati archiviati gli oltre 7.000 emendamenti con cui opposizione e 'dissidentì della maggioranza hanno provato a cambiare i connotati della riforma.
Il rush finale nell'Aula del Senato sul ddl costituzionale si consuma nel giorno in cui il presidente della Bce Mario Draghi invita i Paesi dell'Eurozona a intensificare le riforme e indica tra i freni agli investimenti in Italia anche «l'incertezza sulle riforme».
Parole che Matteo Renzi apprezza, visto che proprio sulle riforme, a partire da quelle istituzionali, ha impostato la scommessa del suo governo. Ed è ai prossimi passaggi che il premier già guarda. Il primo settembre partirà infatti il programma dei mille giorni, ma anche l'esame al Senato della legge elettorale, sulla quale il premier si dice convinto di poter ottenere il via libera di Silvio Berlusconi all'introduzione delle preferenze: «Spero e penso di sì». Prima, però, c'è da incassare il via libera del Senato al ddl Boschi. Al termine di un percorso complicato, dall'esito non scontato.
Domattina, per il voto della legge che riforma bicameralismo e titolo V, Renzi potrebbe essere in Aula, ma non è escluso che lasci la scena a quei senatori della maggioranza che hanno difeso il testo del governo dai «frenatori»: «Grazie per aver sopportato le accuse e gli insulti», dice loro il premier, convinto di aver fatto bene a mettere prioritariamente mano al superamento del Senato. Di sicuro, però, domani faranno sentire forte la loro voce le opposizioni. Che fino all'ultimo hanno provato a bloccare l'ingranaggio. L'assalto finale in giornata lo tenta Roberto Calderoli. Godendo dei privilegi di relatore, il leghista presenta un emendamento 'ammazza riformà, che prevede l'entrata in vigore del ddl «alla prima conclusione naturale della legislatura di entrambe le Camere». Ma le opposizioni già si sfregano le mani,  quando il presidente Pietro Grasso dichiara la proposta «inammissibile in quanto la scadenza naturale delle Camere, teoricamente, potrebbe non avvenire mai». A quel punto Calderoli riformula il testo e fissa l'entrata in vigore al 18 novembre 2016, ma poi si convince a trasformarlo in un ordine del giorno, che impegna il governo a completare il percorso della riforma (e dunque a non andare a votare) prima di allora. Anche al netto dell'agguato di Calderoli, l'ultima giornata di votazioni degli articoli del ddl Boschi è molto nervosa. Anche perchè i senatori M5S denunciano la ricomparsa dei senatori 'pianistì: con una pallina premuta sul pulsante, votano senza essere in Aula. Gli animi si surriscaldano, ci sono continui scambi di accuse tra grillini e senatori dem. E nel pomeriggio la protesta si accende al punto che il grillino Stefano Lucidi si imbavaglia, Grasso lo espelle e lui fa resistenza perchè i commessi non lo trascinino fuori, creando un parapiglia in Aula. «C'è un servilismo inaccettabile verso il governo», è l'accusa dei 5 Stelle a Grasso. Ma la giornata procede senza incidenti nelle votazioni.
Dopo essere stato battuto nella nottata di mercoledì su un emendamento di Sel con voto segreto, l'esecutivo si rimette all'Aula su un altro emendamento di Sel sulle minoranze linguistiche e scongiura nuovi inconvenienti. Ma incassa anche il via libera ad alcune novità della riforma, tra cui le nuove regole del procedimento legislativo. In Costituzione entrano per la prima volta i referendum propositivi, vengono alzate da 50mila a 150mila le firme necessarie per le leggi d'iniziativa popolare e fissato un quorum variabile per i referendum: se le firme sono 500mila, il quorum è 50% più uno degli aventi diritto, mentre se sono 800mila, il quorum è la maggioranza dei votanti alle precedenti elezioni. Passa anche il principio per cui i consiglieri regionali non possono guadagnare più dei sindaci delle città capoluogo. E arriva una norma «anti-Batman», che cancella i rimborsi ai gruppi consiliari regionali.

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