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Iraq, centomila cristiani in fuga

BAGHDAD. Altre decine di migliaia di  cristiani in fuga. Donne, bambini, anziani, e con loro sacerdoti  e suore, in marcia per cercare di trovare rifugio dopo essere  stati costretti a lasciare le loro case, molti addirittura in  pigiama e scalzi. Questo il nuovo scenario dell'orrore che si  registra oggi nel nord dell'Iraq, dove i miliziani dello Stato  islamico (Isis), come moderni Unni, continuano la loro avanzata  che nè l'esercito governativo nè le forze Peshmerga curde  sembrano più in grado di fermare. Un «appello alla comunità internazionale» è stato rivolto dal  Papa per «porre fine al dramma umanitario in atto e perchè si  adoperi a proteggere i minacciati dalla violenza e assicurare  aiuti agli sfollati». Un appello che il Pontefice ha lanciato  alla «coscienza di tutti», mentre invita a pregare tutti i  cristiani e le Chiese.    


La Francia è stata la prima a rispondere: dapprima chiedendo  una convocazione d'urgenza del Consiglio di Sicurezza dell'Onu,  che si riunisce in tarda serata, e poi confermando «la sua  disponibilità a dare sostegno» alle «forze che in Iraq sono  impegnate» nella lotta agli estremisti islamici. A riferirlo è  stato l'Eliseo dopo una telefonata tra il presidente Francois  Hollande e il presidente del governo regionale del Kurdistan  Massoud Barzani, le cui forze sono praticamente da sole ora nel  cercare di fermare l'avanzata dell'Isis nella provincia di  Ninive. Ma, secondo il New York Times, anche il presidente  americano Barack Obama sta valutando l'ipotesi di bombardamenti  aerei sui militanti jihadisti. «Non ci saranno truppe Usa in  Iraq. Ogni eventuale azione militare sarà limitata nei suoi  obiettivi», ha precisato comunque il portavoce della Casa  Bianca, Josh Earnest, ribadendo la posizione di Obama secondo  cui «non c'è una soluzione militare alla crisi dell'Iraq: quella  che serve è una soluzione politica».  «Saccheggiano, devastano, rubano nelle case, non risparmiano  nemmeno le chiese»: così monsignor Yousif Thoma, arcivescovo  caldeo di Kirkuk e Sulaymaniyah, descrive alla Misna il dramma  di Qaraqosh, la città cristiana del nord dell'Iraq occupata tra  ieri e oggi dai ribelli sunniti insieme ad altri tre centri.  «Tutti e 50.000 gli abitanti hanno dovuto abbandonare la città -  denuncia monsignor Thoma - e stanno raggiungendo a piedi Erbil o  Sulaymaniyah (nella regione del Kurdistan, ndr)».      


Altre fonti parlano di una marea di 100.000 profughi  disperati in marcia, contando anche quelli che avevano trovato  rifugio a Qaraqosh e nei villaggi vicini dopo essere stati  costretti a fuggire da Mosul, conquistata dallo Stato islamico  nel giugno scorso. I jihadisti hanno anche «tolto le croci dalle  chiese e bruciato antichi manoscritti», denuncia il patriarca  caldeo di Kirkuk, Louis Sako, parlando di un vero «disastro  umanitario». «I cristiani hanno dovuto abbandonare tutto,  persino le scarpe, e scalzi sono stati instradati a forza verso  l'area del Kurdistan», dice all'agenzia vaticana Fides il  cardinale Fernando Filoni, prefetto della Congregazione per  l'Evangelizzazione dei Popoli.     Ma sono tutti i non sunniti ad essere presi di mira dallo  Stato islamico nella sua folle guerra santa. Almeno 8 profughi  ospitati in una moschea sciita di Kirkuk sono morti oggi e altri  40 sono rimasti feriti in un attentato suicida.    


I Peshmerga curdi, pur con la copertura aerea dell'aviazione  di Baghdad, sembrano in notevole difficoltà di fronte ai  miliziani che avanzano sotto la bandiera di questa nuova Jihad.  Oggi, secondo fonti locali, le forze dell'Isis sarebbero  riuscite ad impadronirsi anche della diga sul Tigri a nord di  Mosul, di importanza strategica perchè controlla la  distribuzione dell'acqua in vasti territori del nord iracheno. A  mettere in difficoltà i curdi, inoltre, è la massa di centinaia  di profughi che cercano scampo nel loro territorio.     E proprio dalla città curda di Erbil, oggi, il vice ministro  degli Esteri italiano Lapo Pistelli ha chiesto alla comunità  internazionale di fornire «subito» un sostegno «rapido e  tangibile per il governo regionale curdo e per i  Peshmerga». 

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