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Russia, Putin vieta le parolacce Il linguista: farlo per legge è insensato

Il filosofo del linguaggio Franco Lo Piparo: persino il papa ha detto «casino», parola che dieci anni fa era disdicevole

La Russia è diventato un paese anti. Anti-fumo, anti-gay, prossimamente anti-alcol e, dal primo luglio, anti-parolacce con il divieto di turpiloquio sui media e nell'arte, firmato da Vladimir Putin. Il linguaggio colorito in quel paese ha radici profonde e letterarie, ma la Duma, il Parlamento, incurante, ha interdetto parolacce e bestemmie in tutte le manifestazioni pubbliche, a teatro, nei libri, in tivù, insomma sui media. Eppure la letteratura non disdegna il turpiloquio: quale dicitura - come succede per le sigarette - sui libri di Pushkin o Gogol o Pelevin avvertirà gli incauti che vorranno acquistarli del contenuto proibito? Il galateo linguistico va rispettato perché chi disobbedirà, chi si lascerà (linguisticamente) andare, sarà pesantemente multato.
Naturalmente rimane da capire entro quali limiti, per esempio, si muoveranno i teologi della bestemmia: quali le parole da evitare? Che ne sarà del mat, varietà molto diffusa del linguaggio osceno russo, legata alla sfera sessuale, quella che crea maggiori difficoltà ai traduttori? Ed entro quale perimetro lavoreranno i censori? La lingua è il luogo del potere e del tabù, dell'interdizione e del controllo, e l'ansia totalitaria di controllarla non ha mai dato risultati. Concorda Franco Lo Piparo, ordinario di Filosofia del linguaggio dell'Università di Palermo: «È come se in Italia proibissimo lo studio di Boccaccio o Belli. Non mi sembra una gran trovata, anche perché, come succede con i bambini, ciò che è vietato piace sempre di più. Credo che sia opportuno utilizzare, più che una legge, il buon senso, soprattutto nei luoghi pubblici. Il linguaggio si evolve: dieci anni fa la parola "casino" era disdicevole da dire in pubblico, oggi l'ha pronunciata anche il Papa».
Cadono le ipocrisie: «Le soglie si modificano, come la sensibilità, non c'è legge che possa regolamentarle: bisogna capire come funzionano le relazioni sociali e autolimitarsi. Putin è un erede dell'Urss, non a caso era un funzionario del KGB: la sua è una continuità perfetta». Qualcuno dovrà avvertire i nostri politici, eroi della parolaccia, di tenersi alla larga dalla Russia: il turpiloquio è uno dei tanti lasciti dell'ultimo ventennio che, ancor prima delle tasche, ha immiserito i cuori, facendoci considerare normale, e perfino amabile, un leader politico che si esprime come un bruto. La tattica è consolidata: farsi vedere, farsi sentire, coprire con le proprie urla le voci, più o meno forti, degli altri. Che si abbia torto o persino ragione poco importa: la ripetizione all'infinito va oltre al merito delle questioni e la parolaccia copre la povertà di argomenti: «Ma noi - continua Lo Piparo - abbiamo raggiunto una tale maturità da non lasciarci impressionare né dal parlare forbito né dall'uso del turpiloquio. Chi ha una lingua povera è anche povero di idee».
Ci sono esempi di turpiloquio sessista, come la campagna scatenata contro la presidente della Camera, Laura Boldrini, in quanto donna: un colpo di frusta che ci riporta indietro nelle relazioni tra i sessi: «Il turpiloquio ha sempre a che fare col sesso e con pratiche sessuali, ma più che offendere una donna, dimostra la pochezza di chi pronuncia certi epiteti. Ormai nel mondo occidentale non attecchiscono più, e sono quasi sempre seguite da scuse da parte del cretino in questione. Non trovano consenso. È sempre più sottile il confine linguistico tra la vita pubblica e vita privata: il linguaggio monocolore fa perdere il piacere della diversità dei momenti più intimi».
In Italia le volgarità non sono una novità sul piccolo schermo, ben accette nei film, spopolano nei reality, i comici ne fanno abuso, i politici le usano come jolly linguistici: e si va in onda senza censure nei telegiornali, la carta stampata è appena più pudica. Di fronte alle frasi pronunciate a Montecitorio e a Palazzo Madama, luoghi agitati dall'onda schiumosa di infinito rancore, alle parolacce coniate con abituale inventiva dai commentatori o dai protagonisti del dibattito politico, che devono fare i giornalisti? Si può scrivere una parolaccia per dare una notizia? Non sul New York Times, dove il turpiloquio è proibito perché «il NYT si differenzia alzando il livello della buona educazione». Lo Piparo: «I giornalisti ricorrono a una soluzione quantomeno buffa. Se devono scrivere culo, si limitano a c… Un'autocensura che dovrebbe servire a tutelare i più piccoli e che invece li incuriosisce di più».

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