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Marsala, in mostra gli allarmanti paesaggi di De Grandi

«Archetipi della pittura inquieta» da oggi e fino al 26 ottobre al Convento del Carmine. In tutto quaranta opere dell’artista che «reinventa» il vedutismo dell’800. In ogni tela c’è sempre un elemento di disorientamento che spiazza lo spettatore e lo lascia in un limbo di domande

PALERMO. Un vedutista nato che stravolge il classicismo, che traduce Lo Jacono in 2.0 e cambia i paesaggi ottocenteschi in praterie movimentiste e surreali, Francesco De Grandi un maestro del paesaggio allarmante. Perché i fiori sono troppo grandi per essere tranquilli e forse mangiano, e nella foresta si apre un buio: è un’idra o una bomba atomica in questa fenditura, c’è pericolo, qualcosa di sinistro. Le marine sono tempeste che travolgono i barconi della morte, nelle passate produzioni qualche umano è un alieno peloso, e se non è un serpente un rigagnolo si sta muovendo e si avvicina, un mezzo uomo è anche mezzo tronco.
Con «Archetipi della pittura inquieta» Francesco De Grandi in mostra da oggi e fino al 26 ottobre al Convento del Carmine di Marsala. Con il testo critico di Sergio Trosi, direttore artistico dell’Ente mostra nazionale di pittura contemporanea «Città di Marsala« che organizza l’allestimento («sembrano paesaggi tradizionali quelli di Francesco De Grandi - scrive Troisi - ma al loro interno c’è sempre un elemento di disorientamento che spiazza lo spettatore e lo lascia in un limbo di domande»). Con le parole di Federico Lupo («il suo realismo imperfetto squarciato da fluorescenti verdi… storie d’appendice di cristi e barboni, nani e vascelli…»), e con il catalogo della Due punti edizioni, l’inaugurazione di oggi alle 18,30 è l’evento culturale che raccoglie autorità e mondo dell’arte, il sindaco Giulia Adamo, l’assessore alla Cultura Patrizia Montalto, la presenza anche in evocazione degli amici di formazione artistica della Scuola di Palermo, Fuvio Di Piazza, Andrea Di Marco recentemente scomparso, Alessandro Bazan.
Quaranta opere di una produzione sofferta, «cerco di tirare fuori l’essenziale come se stessi facendo una esperienza yoga». Una produzione che segnala anche la mutazione del classicismo ottocentesco: «Io sono innamorato del vedutismo ma mi serve anche per altro, uso i paesaggi, i quadri da retrodivano per attirare l’attenzione di chi guarda, e poi lo conduco in un altro posto, in un paesaggio impastato di contrasti e non rassicurante...e se devo pensare e sentire un bosco lo dipingo nei colori iridescenti delle piogge di mercurio e gli uomini che cambiano tratti in sembianze animalesche...». Lavora nella «sottile e pericolosa linea che caratterizza gli oggetti pittorici non identificati». Guarda «ancora oggi con attenzione emozionata ed amorevole alla cultura del popolo, del misticismo, della follia, dello sguardo puro e innocente… disegno e dipingo da che ho memoria, un modo di vivere fin dalla scuola… mio padre un giocatore di calcio mia madre un’artista delle stoffe che tagliava…». Si dichiara un esploratore «degli stati emotivi permanenti», si muove fra Milano e Palermo, espone in tutto il mondo, Trento e Amsterdam, Biennale di Venezia 2013, nove mesi a Shangai. A Marsala fra vedute catastrofiche di ottobre e tanti Cristi avvolti nelle coperte dorate dell’accoglienza agli sbarcati. Un grande olio e cinque disegni di mari in tempesta, «la serie di ecce homo in mantelli dorati e regali, tanti piccoli cristi.., è successo nei nostri mari, ci riguarda tutti».

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