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Addiopizzo, in dieci anni raggiunti diecimila sì

Il consumo critico si è diffuso a macchia d’olio. Quasi 900 imprenditori hanno aderito, soprattutto nel turismo. Tante le donne. Il presidente Marannano: «Siamo un’avanguardia, ma resta molto da fare»

PALERMO. Dieci anni fa, quando Palermo si svegliò tappezzata di manifestini listati a lutto con la scritta «Un intero popolo che paga il pizzo è un popolo senza dignità», immaginare che la città potesse essere liberata - anche solo in parte - dal pizzo era forse più che un’utopia. Ma grazie alla tenacia dei ragazzi di Addiopizzo, il sogno è diventato realtà. «Si sono vinte tante battaglie - dice il presidente dell’associazione antiracket, Daniele Marannano - ma siamo ancora un’avanguardia e resta molto da fare, per questo non possiamo ritenerci pienamente soddisfatti». Allo stato sono quasi 900 le aziende che aderiscono all’associazione e circa 10 mila coloro che praticano il consumo critico. «All’inizio - spiega Vittorio Greco, il giovane autore dello slogan da cui tutto è partito - eravamo noi a cercare i commercianti per convincerli ad aderire all’iniziativa. Sono stati tantissimi i no, espressi per paura, e per arrivare ai primi 100 iscritti sono serviti quasi due anni». Poi, lentamente, la musica è cambiata: esporre l’adesivo di Addiopizzo - come è emerso da diverse inchieste - è un deterrente per i boss: «Ora - sostiene Greco - sono gli imprenditori a cercare noi, prima ancora di aprire la loro attività». In passato, invece, in questi casi, si cercava la protezione di Cosa nostra.
L’imprenditore «pizzo free» è in genere giovane o lavora a contatto coi giovani, più facilmente è di sesso femminile ed in genere si occupa di attività rivolte ad utenti non solo palermitani, come quelle legate al turismo. I più reticenti, invece, sembrano essere, in base ai dati forniti da Addiopizzo, i macellai, i panettieri e chi vende frutta e verdura. Si crea dunque una sorta di paradosso per quanto riguarda i consumi: quando si esce la sera per mangiare una pizza e bere una birra sarà più facile far guadagnare qualcosa a chi aderisce ad un’economia pulita, mentre nell’acquisto di beni di prima necessità (come pane, carne e verdura, appunto) è molto più probabile che si finisca per rimpinguare anche le casse di Cosa nostra. Tutto questo, però, non è un caso: dall’inchiesta Apocalisse, che lunedì ha portato a 91 arresti a Palermo, è venuto fuori che i boss gestivano il mercato della carne, controllando una società di vendita all’ingrosso, imponendo anche con la forza il rifornimento ai macellai e sbaragliando con la violenza qualsiasi forma di concorrenza.
Resta ancora molto da fare, come dice bene Marannano. Lo dimostrano purtroppo sempre gli esiti dell’operazione Apocalisse: a fronte di 47 richieste di pizzo avanzate ad altrettanti imprenditori nel mandamento di Tommaso Natale-San Lorenzo, una sola denuncia alle forze dell’ordine. «Speriamo - dicono Marannano e Greco - che ora questi commercianti collaborino e capiscano che non è più tempo di piegarsi al racket». In diversi casi, per la verità, le vittime hanno rifiutato di pagare, ma poi non hanno denunciato. Un dato «controverso», per i ragazzi di Addiopizzo, che, però, fa capire la dimensione anche culturale del fenomeno. «Chi resiste e non denuncia — rimarca Marannano - si ritrova ciclicamente sottoposto a nuove minacce, intimidazioni e richieste». Quindi la strada giusta non è questa. Per una svolta reale - che, peraltro, ha effetti su tutta la società e non semplicemente sul singolo - serve necessariamente il coraggio di ribellarsi ad un «contesto mafiogeno», alimentato proprio dalla sottomissione agli schemi culturali di Cosa nostra. In questo senso, i retroscena dell’operazione «Reset» contro il clan di Bagheria, offrono spunti positivi: sono ben 20 gli imprenditori taglieggiati che hanno collaborato alle indagini.
Greco sottolinea come «oggi, rispetto a dieci anni fa, gli imprenditori non si tirano indietro per paura, ma per sfiducia. Un sentimento che è molto più difficile da combattere. Molti sostengono che che ”la politica, la classe dirigente” si comportano, quando non ci sono addirittura profili penalmente rilevanti, in maniera inopportuna, non danno l’esempio, insomma. È proprio da qui, secondo me, che devono partire segnali importanti: la classe dirigente deve risultare più credibile in un tessuto sociale così fragile».

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