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Montante: «Fuori dalle associazioni di imprese chi non denuncia»

Parla il presidente degli industriali siciliani: «I commercianti devono capire che i tempi sono cambiati perchè lo Stato è presente». «Le imprese devono pensare: pago il pizzo o mi faccio espellere Poche denunce? Questo dimostra che non bisogna mollare mai»

PALERMO. «Tutte le associazioni di imprese seguano l'esempio di Confindustria e inseriscano norme nel codice etico per sanzionare le aziende che pagano il pizzo»: è la proposta di Antonello Montante, leader dell'associazione degli imprenditori in Sicilia, per il quale «anche i commercianti devono capire che i tempi sono cambiati, denunciare conviene anche perché lo Stato è presente, è più forte ed è in grado di proteggere chi si ribella». Così Montante commenta la maxi operazione antimafia «Apocalisse», che ha portato all'arresto di 95 persone tra capi e gregari dei mandamenti mafiosi di Resuttana e San Lorenzo, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, estorsione, danneggiamento.

UNA TRENTINA DI ESTORSIONI SCOPERTE MA SOLO UNA DENUNCIA: COSA SIGNIFICA QUESTO?
«Sicuramente che c'è ancora tanta strada da fare. C'è ancora un problema culturale da superare, legato al fatto che qualcuno è ancora convinto che pagare conviene. Ma bisogna fare capire che non è così e che denunciare può solo migliorare le cose, anche perché si è salvaguardati dallo Stato e dalle associazioni antiracket. I commercianti devono capire che non ribellarsi significa subire un danno economico. Il problema non è più solo quello di pagare il pizzo, ma riguarda anche l'imposizione con la violenza di forniture e acquisti, in modo da garantire maggiori introiti all'organizzazione criminale. La mafia, pur se in enorme difficoltà, cerca di rigenerarsi puntando non più soltanto alle estorsioni, ma al controllo tout court delle attività commerciali. E tutto questo danneggia il libero mercato e tutto il sistema economico».

COME CONVINCERE I TITOLARI DI PICCOLE ATTIVITÀ ECONOMICHE A DENUNCIARE?
«Grazie al lavoro svolto in questi anni dalle associazioni antiracket come Addiopizzo e da Confindustria, c'è stata una presa di coscienza di commercianti e imprenditori. Sempre più raramente ci sono aziende coinvolte in inchieste antimafia e che risultato iscritte a Confindustria. Questo dimostra che il meccanismo da noi introdotto ha funzionato. Per cui lo dico in maniera propositiva e non critica: è fondamentale che tutte le altre associazioni, di commercianti, artigiani, che lavorano in squadra con noi, adottino provvedimenti per sospendere o espellere le imprese iscritte che pagano il pizzo. E soprattutto che questi provvedimenti, laddove già presenti, vengano applicati severamente. Indipendentemente dai codici etici nazionali, in Sicilia queste associazioni devono adottare delle regole per punire chi non denuncia i mafiosi. Devono convincere i vertici nazionali a cambiare le proprie regole interne così come abbiamo fatto noi nel 2007».

UN'OPERAZIONE CON QUASI CENTO ARRESTI DIMOSTRA UNA GRANDE CAPACITÀ DELLA CRIMINALITÀ ORGANIZZATA DI RIGENERARSI NEL TEMPO: CREDE CHE QUESTO POSSA SPAVENTARE GLI IMPRENDITORI?
«No, perché in realtà questa operazione dimostra anche che tutte le forze di polizia hanno lavorato perfettamente insieme svolgendo un ottimo lavoro. Un grande plauso va alla Dda di Palermo, che ha coordinato le indagini di Squadra mobile, Reparto operativo del comando provinciale di carabinieri e nucleo di polizia valutaria della Guardia di Finanza. Abbiamo uomini all'altezza del compito e questo dimostra che lo Stato è più forte. Per cui oggi il nostro auspicio è che ci sia una forte collaborazione tra i commercianti, perché prendano esempio da chi si è ribellato e decidano di rivolgersi alle forze dell'ordine per denunciare i mafiosi».

NEL COMPLESSO, IL FATTO CHE SIANO EMERSE POCHISSIME DENUNCE, PENSA CHE SIA UN PASSO INDIETRO NELLA LOTTA CONTRO COSA NOSTRA?
«Non credo si tratti di un passo indietro, ma probabilmente di un rallentamento, quello sì, che dimostra che bisogna porre più attenzione su questi fenomeni e non mollare mai. E soprattutto, ripeto, deve spingere le associazioni datoriali a un maggiore sforzo per modificare i codici etici e prevedere sanzioni. Perché spesso la sanzione sociale funziona di più di quella giudiziaria e bisogna insistere con provvedimenti di questo tipo. Le imprese devono pensare: pago o mi faccio espellere dall'associazione?».

NELL'INCHIESTA È EMERSO LO SPACCATO DI UN MONDO, QUELLO DELL'ANTIMAFIA, DOVE CHIUNQUE, PERSINO SOGGETTI POI COINVOLTI IN INCHIESTE DI MAFIA, POSSONO DIVENIRNE PALADINI. QUAL È IL SUO GIUDIZIO?
«Credo che sia arrivato il momento di stabilire una sorta di termometro dei comportamenti. Il ripristino della normalità deve avvenire attraverso fatti concreti, non passerelle e annunci. Servono quelle azioni che diventano storia e fanno cambiare le cose, le chiacchiere invece non servono a nulla e collaborazione con le istituzioni preposte. Ciascuno dei soggetti impegnati a vario titolo nelle istituzioni e nella società civile, ogni mese, dovrebbe stilare un bilancio per dire cosa ha fatto realmente per ripristinare la legalità. Se ha lavorato bene, allora continui su questa strada, altrimenti si metta fa parte. Noi come Confindustria possiamo dire di aver lavorato sempre alla luce del sole e di aver raggiunto ottimi risultati in termini di ripristino del libero mercato. E oggi tanta gente ha capito che il cambiamento porta benessere alla propria azienda, oltre ad avere risvolti positivi sul piano etico e morale. Sono concetti che credo i giovani abbiano bene in mente e in futuro aiuteranno la società a cambiare. Oggi un giovane serio, preparato, che ha seguito il comportamento di Confindustria, non pagherà mai il pizzo».

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