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Operazione Reset, l’invito di Iannotti ai commercianti: possibile ricominciare da zero

Sfogliando le 1.300 pagine del provvedimento dell’operazione “Reset” sembra di rileggere sempre lo stesso, desolante, copione. Eppure, secondo il colonnello Pierangelo Iannotti, comandante provinciale dei carabinieri di Palermo, stavolta si registrano «importanti elementi di novità».

COLONNELLO IANNOTTI, COMINCIAMO DALL’INIZIO: PERCHÉ OPERAZIONE RESET?
«L’abbiamo chiamata convenzionalmente così non tanto perché abbiamo “azzerato” il mandamento mafioso di Bagheria, quanto perché vogliamo lanciare un segnale di fiducia a tutti quegli imprenditori, professionisti e commercianti e, più in generale, a quanti sono ancora vittime di un’asfissiante pressione estorsiva. Vuole essere un invito a ricominciare da zero, ad avere fiducia nelle istituzioni, a scegliere la via della legalità, l’unica in grado di assicurare sviluppo».

IN MENO DI UN ANNO, DALL’ULTIMA RETATA (L’OPERAZIONE ARGO), LA COSCA DI BAGHERIA SI È RIORGANIZZATA COLMANDO TUTTI I VUOTI LEGATI ALLE RETATE. COSA È CAMBIATO?
«Sono due, a mio avviso, gli elementi qualificanti di questa operazione dal punto di vista della storia di Cosa nostra palermitana. Per la prima volta viene documentata l’esistenza e la piena operatività, fino ad oggi soltanto ipotizzata, di un organo direttivo provinciale o direttorio. Anche se il collaboratore Sergio Flamia ha riferito di avere appreso da Antonino Zarcone, nel 2011, della ridefinizione degli equilibri (“... a Palermo hanno ricostituito di nuovo tutto”), non è chiaro, al momento, se si tratta della formale ricomposizione della storica commissione provinciale, non più attiva dalla cattura di Salvatore Riina e che Benedetto Capizzi e Gaetano Lo Presti, sebbene in contrasto tra loro per la leadership, avevano tentato di ricostituire. Progetto non portato a compimento grazie al tempestivo intervento dei carabinieri nel dicembre 2008 con l’operazione Perseo».

CHI FA PARTE DEL DIRETTORIO? E QUALI SONO LE COMPETENZE E LE DECISIONI ADOTTATE DA QUESTO ORGANISMO?
«Ne fanno parte i reggenti dei mandamenti più influenti della provincia, ai quali compete la definizione di una “strategia unitaria”, il mantenimento dei contatti con i mandamenti delle altre province siciliane e la composizione di eventuali conflitti interni. Tra i capi recenti, figurano ad esempio Giulio Caporrimo, del mandamento di San Lorenzo-Tommaso Natale (dal 2010 a novembre 2011) e Alessandro D’Ambrogio, del mandamento di Porta Nuova, da dicembre 2011 a luglio 2013, ovvero fino al suo arresto con l’operazione Alexander».

OLTRE AI CAPI, CHI PARTECIPA ALLE RIUNIONI E ALLE DECISIONI?
«Durante la leadership di Caporrimo, l’organo deliberativo centrale era composto da Tommaso Di Giovanni e Nicolò Milano del mandamento di Porta Nuova, da Fabio Chiovaro per il mandamento della Noce, da Cesare Lupo e Antonino Sacco per il mandamento di Brancaccio, da Antonino Zarcone e Antonino Messicate Vitale per il mandamento di Bagheria. Con D’Ambrogio, invece, a causa dell’arresto di alcuni boss, il direttorio era composto da Fabio Chiovaro e da Giacinto Di Salvo, collaborato da Salvatore Lauricella, del mandamento di Bagheria».

INSOMMA, GIOVANI RAMPANTI E FORZE FRESCHE, MA SEMPRE CON LA SUPERVISIONE DELLE VECCHIE GUARDIE.
«Esattamente. L’altro aspetto di rilievo è costituito infatti dal ruolo apicale ricoperto da anziani boss di Cosa nostra, come Nicolò Greco, “uomo d’onore” ultrasettantenne legato a Bernardo Provenzano e considerato la testa dell’acqua, “la fonte del potere”. Dal 2004 è il vertice assoluto del mandamento, e in quanto tale responsabile della definizione delle linee strategiche, alle quali anche il reggente “operativo” (Onofrio Monreale fino a gennaio 2005, Gioacchino Mineo detto Gino fino al 2007 e, successivamente, Giuseppe Scaduto, Antonino Zarcone, Francesco Lombardo, Giacinto Di Salvo e Giuseppe Di Fiore) deve attenersi».

PARLIAMO INVECE DELLE ESTORSIONI, SEMPRE A TAPPETO, MA CON UNA NOVITÀ: STAVOLTA LE DENUNCE SONO A DUE CIFRE.
«Nessuna attività e nessuna impresa si salva dalla “messa a posto” o dall’imposizione di ditte da cui rifornirsi o a cui subappaltare o, ancora, alle quali rivolgersi per effettuare lavori, soprattutto nel settore del movimento terra. Ma stavolta la mole di elementi investigativi raccolti a riscontro ha permesso di ottenere, ancor prima dell’esecuzione della misura cautelare (e per la prima volta in quel contesto ambientale), la conferma da parte di ben 20 vittime della pressione estorsiva alla quale erano state sottoposte, alcune anche da decenni».

UN SEGNALE INCORAGGIANTE, ANCHE PER IL CONTESTO E PER LA SPREGIUDICATEZZA DEI SOGGETTI COINVOLTI, NON CREDE?
«È vero. E in questo senso appare significativa la conversazione in cui Giovanni Pietro Flamia incarica Salvatore Lo Piparo, suo sottoposto, di rilevare i numeri di targa delle auto e dei furgoni dei commercianti più importanti della zona di Porticello per poi fare “dei lavoretti”».

CHE SAREBBERO?
«Avvertimenti, minacce, intimidazioni. In un’altra conversazione, molto più esplicita, Lo Piparo propone a Gianni Di Salvo di andare a Bagheria, “prendiamo una testa di capretto, gli prendiamo due cartucce di fucile normali e gliele mettiamo in bocca nella testa di capretto, ci mettiamo un bigliettino... stai attento a cosa fai (...) glielo attacchiamo nel cancello. Questo lo possiamo fare pure adesso, prendiamo una testa di capretto e lo facciamo (...) mettiamo due cartucce di fucile, con un sacchetto e glielo attacchiamo nel portone, che loro già lo capiscono che non devono romperci...”».

UN’ULTIMA CURIOSITÀ: È UN CASO CHE L’OPERAZIONE COINCIDA CON I DUECENTO ANNI DI FONDAZIONE DELL’ARMA?
«Si tratta di una semplice coincidenza. I tempi delle attività di polizia giudiziaria sono scanditi dalle esigenze investigative e dalle norme procedurali. Il rapporto con le nostre comunità, del resto, è profondo e di lunga data. Un rapporto da noi vissuto con un’unica missione, la stessa da 200 anni: proteggere, aiutare, sostenere, garantire la legalità».

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