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Società in liquidazione, voragine da 7 milioni

Sono 13 le partecipate che attendono da anni la chiusura. Nel 2012 spesi dalla Regione 5 milioni di euro per gli organi societari. La corte dei conti: c’è una «perversa logica di salvataggio a tutti i costi». Resteranno in vita solo 11 spa su 34

PALERMO. Quando la liquidazione della Siace iniziò, Rino Nicolosi si era appena insediato a Palazzo d’Orleans per il suo primo mandato da presidente della Regione. Era il 1985 e nessuno poteva immaginare che la chiusura della Società per l'industria agricola cartaria editoriale sarebbe andata avanti fino al 2014 senza arrivare al traguardo: oggi costa ancora 8 mila euro all’anno destinati al commissario liquidatore, Gaetano Chiaro. La Siace è una delle 13 partecipate, di cui la Regione detiene tutte o la maggioranza delle quote, che pur essendo in liquidazione continuano a rappresentare rubinetti sempre aperti da cui sfugge un fiume di denaro pubblico. Secondo una recente indagine della Corte dei Conti, presieduta da Maurizio Graffeo, fra costi del personale, consulenze e organi societari la Regione spende ancora almeno 7,3 milioni all’anno per strutture che dovrebbero essere già chiuse. Il tutto senza considerare le perdite nei bilanci. Crocetta nei giorni scorsi ha rispedito al mittente il bilancio del Ciem, la società per l’internazionalizzazione delle imprese, che doveva essere chiusa da tre anni e che - rileva Palazzo d’Orleans - continua a pagare 194 mila euro all’anno per un direttore, Nino Giuffrè, e altri 10 mila per il commissario liquidatore, senza considerare gli 890 mila euro per una ventina di dipendenti. Crocetta ha chiesto al Ciem azioni correttive e ha annunciato l’intenzione di affidare al dirigente regionale Sergio Gelardi la guida di un pool per accelerare le liquidazioni.
Le società da chiudere sono almeno 13 su 34. Sono in liquidazione almeno dal 2009 Biosphera, Ciem, InfoRac, Multiservizi, Siace, Sicilia e Innovazione, Terme di Sciacca e Acireale, Mediterranea, Quarit, Cinesicilia e Lavoro Sicilia. Solo la Hydro ha raggiunto il traguardo della chiusura mentre per Sicilia e Servizi la procedura sarà interrotta perché la Regione ha deciso di tenerla in vita affidandola ad Antonio Ingroia (compenso da 50 mila euro) e Dario Colombo (223 mila euro).
Per la Corte dei Conti «le società in liquidazione hanno una incidenza del 45% sul totale delle perdite della Regione nel settore delle partecipate». E soprattutto «le lungaggini nelle gestioni liquidatorie hanno pesanti ricadute finanziarie». Sempre secondo i magistrati contabili «mediamente ciascuna delle società in liquidazione è costata 500 mila euro nell’ultimo quadriennio solo in termini di stipendi agli organi sociali».
Più precisamente, per il personale sono stati spesi almeno 997 mila euro all’anno dal 2012 a oggi. Per le consulenze sono andati in fumo un milione e 137 mila euro nel 2012 (ultimo dato disponibile) e per gli organi societari, sempre nel 2012, sono stati spesi 5 milioni e 176 mila euro. I magistrati segnalano che la situazione è sostanzialmente invariata. E inoltre la stessa Regione ha appena pubblicato il costo dei soli commissari liquidatori nel 2014: verranno spesi 248 mila euro. E se si considera anche il costo dei commissari in due società, Stretto di Messina e Cape, di cui la Regione non ha la maggioranza, la spesa cresce di altri 250 mila euro.
La Corte dei Conti ha lanciato un allarme parlando di «perversa logica di salvataggio a tutti i costi» e avvertendo che alcune operazioni tendenti a finanziare società in liquidazione risultano «in contrasto con i più elementari principi di razionalità economica, che vietano ricapitalizzazioni e accollo dei debiti oltre il limite della responsabilità patrimoniale del socio». In sintesi, se le liquidazioni andassero avanti e continuassero a pesare sulle casse pubbliche si potrebbe aprire un procedimento per danno erariale.
Per tutti questi motivi Crocetta ha deciso di togliere alla Ragioneria generale dell’assessorato all’Economia la gestione delle liquidazioni, creando un ufficio speciale alle sue dipendenze. Che però non ha ancora iniziato a lavorare.
Di più. La Finanziaria di gennaio ha previsto che solo 11 delle 34 partecipate resteranno in vita: Ast, Sas, Sicilia e Servizi, Riscossione spa, Irfis, Sviluppo Italia, Mercati agroalimentari, Siciliacque, Parco scientifico e tecnologico, Seus e Spi. Tutte le altre andranno assorbite o liquidate (in aggiunta a quelle già in fase di chiusura) secondo un piano che ancora non è stato definito. E allo stesso modo è scaduto il termine di tre mesi entro cui le società che resteranno in vita dovevano realizzare un piano dei servizi e del personale da cui si doveva ricavare il reale fabbisogno e gli eventuali esuberi. Passaggio fondamentale per rispondere a una delle questioni sollevate dalla Corte dei Conti: «Dal piano di riordino può derivare un transito generalizzato e pressoché automatico del personale dalle società dismesse alle nuove compagini. Il tutto senza verificare la compatibilità di queste assunzioni con l’assetto organizzativo e finanziario delle società».

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