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Serradifalco, lapidi in dono per i migranti morti

SERRADIFALCO. Non soltanto un loculo, ma anche una lapide. Sarà presto collocata una pietra tombale nelle otto nicchie delle altrettante vittime di origine africana, tra le 366 accertate, del peschereccio naufragato a poche miglia di Lampedusa durante la notte del 3 ottobre dell'anno passato, accolte due settimane dopo dall'amministrazione comunale nel cimitero di Serradifalco.
Non saranno, però, pagate dal comune. Bensì donate da privati. Ossia dalla ditta Gabbiano di Salvatrice Cantella. La quale, già il 22 novembre dello scorso anno, aveva manifestato la sua disponibilità «a donare le lapidi per decorare le sepolture degli otto profughi annegati nel mare di Lampedusa e ospitati presso il cimitero comunale di Serradifalco». Donazione che adesso la giunta municipale, presieduta dal sindaco Giuseppe Maria Dacquì, su proposta degli assessori Cettina Gibaldi e Pasqualino Lalumia, ha deciso di accettare. Sulle lastre marmoree saranno semplicemente impressi il numero di riconoscimento della salma e un epitaffio da concordare tra la cinquantatreenne imprenditrice e l'amministrazione municipale.
A carico del Comune sarà la sola messa in posa delle lastre marmoree, nel lotto 42 - fila 6 nella zona vecchia del camposanto, in cui sono state sistemate le otto bare, e le spese consequenziali che derivano dall'accordo sottoscritto. Tutto ciò è contemplato nell'atto di donazione che la giunta ha autorizzato il sindaco a sottoscrivere. «La decisione di ospitare otto salme nel cimitero comunale rappresenta semplicemente un atto di solidarietà. Il minimo che poteva essere fatto di fronte ad una tragedia del genere», aveva spiegato all'epoca l'assessore ai servizi cimiteriali Lalumia. Il quale aveva anche chiarito che il motivo per il quale la sepoltura era stata compiuta «tramite tumulazione e non, invece, tramite inumazione, sotto terra, nell'area del cimitero riservata a chi in vita professava religione diversa da quella cattolica, come proposto dal Comune, non avendo nessuna certezza sulla religione prima professata dalle vittime che sarebbero state seppellite nel cimitero di Serradifalco». Aveva all'epoca dichiarato Lalumia: «La Prefettura di Agrigento ha fatto sapere che, essendo trascorsi troppi giorni dalla morte ed essendo le salme già state adagiate in bare zincate, la sepoltura può avvenire soltanto nei loculi». Nel giorno delle esequie, poi, non sono mancate le polemiche. Che, però, hanno riguardato la cerimonia funebre. Garbatamente, e prima che avessero inizio, Emanuele Miraglia, all'epoca tra i non eletti al consiglio comunale nella lista di maggioranza, aveva fatto notare che, «non avendo certezza sulla fede religiosa da loro professata in vita, non era il caso di riservare alle salme una cerimonia cattolica». A officiare il rito, davanti alla chiesetta del cimitero, dove le bare erano state allineate, era stato il sacerdote Giovanni Galante. Il quale aveva tra l'altro detto: «Accogliamo da cristiani questi nostri fratelli, che probabilmente non sono cristiani». Il sindaco Giuseppe Maria Dacquì, nel discorso da lui pronunciato, aveva detto, «non conosciamo i loro volti e i loro nomi. Sappiamo solo che sono morti inseguendo un sogno».

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