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Da Pozzallo a Mineo, migranti in fuga

POZZALLO. Li trovi che si riposano all'ombra degli aranci in mezzo al nulla e al bar sul lungomare a giocare a calciobalilla; li vedi camminare per chilometri lungo strade che attraversano campi di grano e fare capannello a due passi dalla stazione di Catania dove partono i pullman "per l'Europa". Ti dicono proprio così: per l'Europa; la loro meta, il loro approdo finale dopo anni passati a fuggire da guerre e aguzzini. E' piena di migranti che scappano, la Sicilia; non solo di quelli che arrivano.    Da Pozzallo a Mineo, da Trapani a Augusta, si ripete così l'assurdo gioco della politica che con una mano li chiude nei centri di accoglienza al loro arrivo dal mare e con l'altra si copre gli occhi quando scappano scavalcando recinzioni o, semplicemente, non rientrando appena hanno l'occasione di uscire. E' successo nel 2011 quando Lampedusa fu invasa da oltre 50mila migranti e sta succedendo adesso, con gli sbarchi già a quota quindicimila dall'inizio dell'anno.    
Alla scuola nel quartiere Terravecchia di Augusta c'erano 140 minori due giorni fa. Ne sono rimasti dieci. L'edificio è quanto di meno idoneo ad ospitare dei ragazzini soli possa esserci, con condizioni igienico-sanitarie a dir poco precarie. "Certo che non dovrebbero starci i minori qui dentro e infatti se ne sono scappati. Ma non venite a dirlo a noi, spiegatelo allo Stato" dice il custode piuttosto alterato perché gli hanno appena comunicato che ne porteranno altri. "Dove sono andati? Non lo so. Certo qui non torneranno". Il comune di Augusta è commissariato per mafia ma oggi i problemi sono altri: al porto solo negli ultimi quattro giorni la nave San Giorgio ha scaricato 2.300 migranti. "Li stiamo smistando in tutta Italia - spiega il funzionario della questura di Siracusa cui tocca l'ingrato compito di occuparsi di questi disperati - li mandiamo in strutture disseminate in diverse città ma è chiaro che se si continua a questo ritmo prima o poi il sistema si satura". E quindi? "E quindi se scappano non ci danniamo l'anima per andarli a riprendere". Come quelli che erano a Floridia, a due passi da Siracusa: li avevano messi in un centro per persone con problemi mentali in mezzo alla campagna e appena hanno potuto se ne sono andati.    
A Pozzallo il centro d'accoglienza è ospitato nei locali della ex dogana del porto: in pratica un capannone prefabbricato stretto tra gli scogli e la strada, caldo d'estate e freddo d'inverno, reso ancora peggiore dai lavori effettuati per la "sicurezza", vale a dire pannelli di legno che oscurano la vista a chi è dentro e a chi sta fuori, grate di ferro fin sopra il tetto. Là dentro erano 380  prima che un centinaio scappasse. "E che dobbiamo fare? Tenerli chiusi dentro non possiamo, sono liberi di uscire e la maggior parte di loro non rientra" spiega serena la bionda funzionaria del Comune mentre sul posto assiste all'ennesimo sbarco, 400 eritrei soccorsi da nave Espero a largo della Libia.       Gli stessi che, appena scende la sera, scappano: ne avevano fatti salire 270 su quattro pullman, con destinazione il Cara di Mineo, il centro di più grande d'Italia che ospita quattromila persone. "Non sono mai arrivati qui - racconta il poliziotto che è di servizio all'ingresso della struttura in provincia di Catania - . Li aspettavamo per ieri pomeriggio, poi per ieri sera. Alla fine sono arrivati solo 10, in piena notte. Appena i pullman si sono fermati per una sosta sono scappati tutti". Fuggono, soprattutto gli eritrei e i somali, anche perché non vogliono essere fotosegnalati e non vogliono che siano prese loro le impronte digitali; il tam tam tra chi ce l'ha fatta e chi deve ancora partire funziona benissimo e dunque chi arriva sa perfettamente che se viene identificato dovrà restare in Italia per via del trattato di Dublino.    
Così si verifica quel che è accaduto al porto di Pozzallo: un migrante che si è coperto il volto con le mani al momento della foto segnaletica è stato bloccato da 4 poliziotti che lo hanno portato via scatenando la protesta delle altre centinaia di eritrei che erano sul barcone: sbarco bloccato e forze dell'ordine in assetto antisommossa per fermare sul nascere ogni tentativo di scappare. Vano, visto che due ore dopo quella stesse gente era in fuga da qualche parte tra gli aranceti attorno a Mineo.    Ed è qui che avviene l'ultimo paradosso. Molti ospiti del Centro, che rispetto ad altri è un hotel, tutti richiedenti asilo, vuole rimanere ed integrarsi; studia l'italiano, vorrebbe lavorare. Ma la burocrazia è un ostacolo insormontabile. "Mia madre è stata uccisa da Al Shabaab, mia sorella è stata uccisa da Al Shabaab  e anche mia moglie. Io sono scappato, non avevo altra scelta se no sarei morto anche io - racconta il somalo Adal, 37 anni, fuori dal centro di Mineo -. Io vorrei rimanere in Italia, vorrei lavorare ma sono qui da un anno e ancora non hanno dato una risposta alla mia domanda d'asilo". E che fai? "Aspetto. E intanto lavo gratis le macchine che arrivano qui. Vuoi che lavi anche la tua?".

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