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Quote rosa, le donne perdono la battaglia e il Pd si spacca

ROMA. Nel segreto dell'urna, vincono gli uomini. Non passano i tre emendamenti bipartisan alla legge elettorale sulla parità di genere. Le "pasionarie" di ogni partito, unite dal colore bianco dei vestiti, perdono la loro battaglia. E in Aula mostrano con gesti eloquenti, anche se non plateali, tutto il loro disappunto. Numerose deputate Pd, "tradite" dalla mancanza dei voti del loro stesso partito, che si spacca, lasciano l'Aula, si radunano in Transatlantico e lamentano che "l'accordo" non è stato rispettato. "Rispetto il voto - commenta la presidente della Camera Laura Boldrini - ma non posso negare la profonda amarezza per l'opportunità persa".    
"E' come con i 101" (quando fu bocciata l'elezione di Prodi al Quirinale) scuotono la testa le parlamentari dem. Il loro partito, pur lasciando libertà di voto, aveva espresso orientamento a favore degli emendamenti sulle quote rosa. Ma al momento del voto, che su richiesta di 39 parlamentari uomini del centrodestra avviene a scrutinio segreto, i sì (253) sono molti di meno di quelli del solo Pd (293). Sull'emendamento più 'soft', con le quote al 40% per i capilista, "sono mancati ben più di 40 voti", contano le deputate dem. E' lo spettro dei 101.    
Rosy Bindi esce dall'Aula applaudendo indignata i colleghi di FI, che hanno detto no ad allargare l'accordo sull'Italicum alle quote di genere. Ma alcune deputate della minoranza Pd additano anche i 'renziani', per il sospetto che abbiano sabotato le quote rosa per tenere in piedi l'intesa. Un sospetto che i renziani rispediscono al mittente: fino all'ultimo è andato avanti il pressing per persuadere FI, fanno notare, e alla fine il governo si è rimesso all'Aula, senza cedere alla richiesta di Brunetta di dare parere negativo. In ogni caso, ribadisce Matteo Renzi, "nelle liste Pd l'alternanza di genere sarà assicurata". Ma la delusione è tanta, tra le deputate. Che promettono ora battaglia senza esclusione di colpi al Senato. "Ora sì alla doppia preferenza di genere", rilancia Stefano Fassina. "L'Aula della Camera dà un messaggio di misoginia", osserva il deputato socialista Marco Di Lello, che cita una frase pronunciata da Sandro Pertini: "C'è poco da ridere, colleghi. Anche una donna può diventare presidente della Repubblica, sapete?".    
All'uscita dall'Aula appaiono deluse anche le deputate di FI, che hanno combattuto una battaglia minoritaria nel loro partito. Loro, però, ammettevano di avere i numeri contro: "Gli uomini sono la grande maggioranza, non abbiamo molte speranze". A Montecitorio molte delle "pasionarie" si presentano vestite di bianco. Nell'emiciclo dell'Aula, però, appaiono macchioline chiare, sparute: più numerose tra i banchi del Pd e Sel, dove anche alcuni uomini indossano sciarpe bianche, poche altrove (Polverini, Prestigiacomo, Ravetto in FI; De Girolamo e Bianchi in Ncd; Tinagli in Sc). Ai banchi del governo, ma non in bianco, 3 ministri donna: Boschi, Madia e Ravetto. Indossa una giacca bianca prestatagli da un portiere d'albergo anche il leghista Gianluca Buonanno, ma vuole "prendere in giro" le colleghe. "Vladimir Luxuria, in quali quote starebbe?", scherza greve.    
Nelle oltre due ore di dibattito in Aula, in tanti prendono la parola. "Più gli interventi dei voti", ironizza qualcuno. L'atmosfera è tesa tra i banchi di FI: Stefania Prestigiacomo, "amareggiata", battibecca con Brunetta e rinfaccia al suo partito di avere fatto "passi indietro" rispetto alle posizioni assunte in passato. Le parlamentari del M5S prendono la parola per dire che le quote di genere in Parlamento sono una "ipocrisia". Replica da Sel Ileana Piazzoni: "Parlate voi che obbedite agli ordini di due uomini". Ma è uno dei pochi momenti di tensione. Nessuno alza i toni, neanche al momento del voto. E quando è chiara la sconfitta, pochi azzurri applaudono. Tutti gli altri tacciono. Le donne Pd gesticolano con disappunto, si alzano e escono dall'Aula.

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