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L'ANALISI. Ucraina, serve un compromesso

Siamo di fronte alla più grave crisi tra Occidente e Russia dalla fine della guerra fredda, e ci vorrà tutta l'abilità diplomatica dei vari leader per evitare che degeneri in un conflitto vero e proprio. Il nuovo governo filoccidentale di Kiev - nato da un golpe «buono», ma pur sempre da un golpe e perciò con dubbie credenziali di legittimità - ha già accusato Mosca di avere dichiarato guerra all'Ucraina, mobilitato, oltre il suo esercito regolare di 130.000 uomini, anche le riserve e chiesto aiuto a Stati Uniti, Unione Europea e Nato.
I russi, dopo avere virtualmente occupato la Crimea isolando le scarse truppe ucraine e avervi insediato un governo regionale a loro favorevole, non sembrano intenzionati ad arretrare di un passo. Il segretario generale dell'Onu BanKi-Moon denuncia il comportamento di Putin, ma il Consiglio di Sicurezza, bloccato dal diritto di veto del Cremlino, non è in grado di prendere iniziative. Se si vuole evitare che l'Ucraina collassi, spetta perciò alle potenze occidentali cercare di disinnescare lo scontro, con un giusto mix di minacce di ritorsione e di concessioni alle - non del tutto ingiustificate - preoccupazioni russe di vedere minacciati i propri cittadini in Ucraina e l'Occidente avanzare fin nel suo cortile di casa.
Gli inizi, tuttavia, non sono promettenti: come già in occasione della crisi del 2007, risoltasi con l'occupazione permanente da parte russa di due province della Georgia, gli strumenti a disposizione sono limitati e le armi cui è possibile ricorrere, come le sanzioni economiche, possono rivelarsi anche a doppio taglio. Basti dire che l'Europa è largamente dipendente dalla Russia per il suo fabbisogno energetico, e Mosca potrebbe sospendere le forniture in qualsiasi momento.
Dopo l'inconcludente colloquio telefonico di 90 minuti tra Obama e Putin, in cui il primo ha minacciato che, se non si ritirerà, la Russia dovrà «pagare un costo», e il secondo ha ribadito il diritto a tutelare i propri interessi, è cominciata la girandola delle riunioni: ieri sera il consiglio della Nato, oggi i ministri degli esteri della UE (un bel test per la nostra recluta, Federica Mogherini, e indirettamente per il premier Renzi, del tutto digiuno di problemi internazionali), quasi in permanenza il Consiglio nazionale di Sicurezza americano. Ma, finora, al di là delle parole forti («Ciò che la Russia sta facendo in Ucraina viola i principi della carta dell'ONU e minaccia la pace e la sicurezza in Europa»), l'unica misura concreta è stata l'interruzione da parte delle maggiori potenze dei preparativi per il G8 di Sochi di giugno e la velata minaccia di espellere la Russia dal gruppo.
Nessuno, in realtà, è disposto a «morire per Sinferopoli», e forse neppure a ingaggiare un braccio di ferro permanente con il Cremlino reminiscente degli anni dell'URSS, sposando senza riserve la causa del governo di Kiev. Nessuno, inoltre, vuole rischiare che l'Ucraina si disintegri, con la parte occidentale che chiede disperatamente la tutela di UE e NATO e quella orientale, Crimea compresa, dove i russofoni sono in maggioranza, pronta a buttarsi nelle braccia di Mosca. L'Ucraina, oltre a essere militarmente indifendibile, è in una situazione finanziaria disperata: persi, dopo la cacciata di Yanukovich e la scelta occidentale, i 15 miliardi promessi da Mosca, ha bisogno urgente di 30-35 miliardi che nessuno, in Occidente, è entusiasta di tirar fuori. Dopo gli ultimi avvenimenti, anche il trattato di associazione che Bruxelles offriva a Kiev appare problematico.
Per ora, per fortuna, non si è quasi sparso sangue: le truppe ucraine in Crimea non si sono opposte ai russi, già presenti nella penisoola con una poderosa base navale, e Putin, pur essendosi fatto dare carta bianca dal suo Senato per muovere l'esercito, non ha finora varcato i confini orientali. Ma l'attuale situazione di semi-stallo non può durare a lungo e qualcuno deve tirare fuori dal cilindro una ragionevole proposta di compromesso.

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