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La condanna della Corte dei Conti, ma quanto si cambia?

Quello che arriva dalla Corte dei Conti, nell’occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario, non è un semplice parere critico, per quanto duro nei toni e nelle parole. È una condanna senza appello per chi governa ed ha governato Regione, Province, Comuni, tanti enti e società pubblici. È una condanna senza appello per la profondità dell’analisi, la gravità dei fatti emersi e giudicati, il numero delle denunce, le pene irrogate. Ma è principalmente un giudizio, durissimo e radicale, di condanna della classe politica dell’intero Paese e delle scelte fatte negli ultimi decenni nei quali, in barba a qualunque notazione critica, la classe dirigente, tempo per tempo al timone, non è riuscita «a dare risposte concrete ai bisogni dei cittadini... sottraendo ricchezza... e depredando... con modalità che spesso superano la fantasia, le risorse pubbliche che dovrebbero invece essere destinate alla crescita». Certo ha una forte valenza simbolica la condivisione di questo giudizio da parte del Presidente della Regione ma, anche a prescindere dalle cronache dei primi mesi di legislatura - poveri di soluzioni reali e ricchi di annunci - l’afflato con le valutazioni della Corte non può certo essere considerato alla stregua di una mera affermazione di principio, ma assume piuttosto il significato di una cambiale che presto, prestissimo i siciliani metteranno all’incasso.
Non si sono ancora rimarginate le ferite di una sessione di bilancio improntata, possiamo dire con il senno del poi, alla improvvisazione, all’occasionalità, all’assistenzialismo, alle clientele, alla dilapidazione delle risorse pubbliche ma sempre estranea agli interessi veri della Sicilia. E mentre il governo di Roma ha già erogato 40 miliardi di euro per il ripiano dei debiti verso le imprese e sta programmando analogo impegno per il 2014, la Regione e l’Assemblea non hanno trovato il tempo per dare risposte alle aspettative delle imprese siciliane ed 800 milioni restano così congelati nelle casse dello Stato. Le nostre Istituzioni, «occupandosi prevalentemente di se stesse» si dibattono ancora nella ricerca dei quattrini; si cercano quindi 30 milioni all’anno, si ipotizza di fare pagare la rata ai siciliani attraverso le addizionali Irpef, ma non si esita a reperire alcune centinaia di milioni di euro per enti, associazioni, circoli e circoletti.
Il danno gravissimo della mancata spesa dei fondi europei, l’unica fonte finanziaria per dare ossigeno ad un territorio in evidente apnea, assume addirittura il carattere della beffa quando le denunce della Corte dei Conti fanno risaltare «il costante aumento delle frodi nazionali e comunitarie». I fondi europei, nonostante l’accelerazione degli ultimi mesi, giacciono non spesi nei conti di tesoreria; quasi nessuno sembra realizzare però che questi quattrini sono stati versati dall’Italia all’Europa e da questa destinati allo sviluppo. Quasi nessuno sembra riflettere sulla caduta degli investimenti in Sicilia negli ultimi dieci anni, sulla crisi dell’edilizia, sul mancato avvio di tanti cantieri.
Quando, ci si chiede, la condivisione del giudizio critico della Corte dei Conti da parte del governo regionale si tradurrà in atti concreti? A quanti scontri feroci su presunti “rimpasti” ed ipotetici “consorzi di comuni” dovremo assistere prima che si affermi una linea politica capace di abdicare all’assistenzialismo clientelare, alla lievitazione dei precari ed all’apertura invece di un fronte di fiducia verso le imprese che investono e danno lavoro vero come, ad esempio stanno facendo tante imprese agricole e della trasformazione alimentare?
Alcune settimane fa questo Giornale ha dato conto di una approfondita ricerca del Censis che concludeva con l’invito per la Sicilia a stanziare, tra l’altro, risorse per favorire la presenza sull’estero delle nostre imprese. Sarà un caso, ma la risposta è stata un’altra quindicina di consulenti da immettere nei ranghi regionali. [email protected]

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